Dop e Igp più tutelate con la riforma Ue
Consorzi centrali nella promozione turistica e obbligo di indicare in etichetta il nome del produttore: così al ristorante si potrà chiedere il prosciutto o il Parmigiano di specifici prosciuttifici o caseifici come avviene già da tempo per i vini e le cantine
di Giorgio dell'Orefice
3' di lettura
«Ma io davvero non capisco: avete dei prodotti di qualità riconosciuta, tanto che sono imitati in giro per il mondo, non avete problemi di mercato né di prezzi, anno dopo anno vedete crescere pure le esportazioni, ma perché mai volete ridurne la produzione?». Mariann Fisher Boel, la Commissaria Ue all’Agricoltura tra il 2004 e il 2010 proprio non riusciva a capire perché i consorzi di tutela italiani si ostinavano a chiederle strumenti per contingentare la produzione dei prodotti Dop e Igp. La cosiddetta programmazione dell’offerta. Mentre invece fu proprio grazie a quei meccanismi introdotti con il Pacchetto Qualità del 2012 e che consentivano ai consorzi di regolare l’immissione in commercio dei prodotti in base al trend della domanda – come avviene in qualsiasi azienda privata – che i prodotti alimentari Dop e Igp hanno spiccato letteralmente il volo.
Nato come un regime di tutela e protezione di produzioni tipiche (e per questo inizialmente osteggiati ma poi adottati dall’industria alimentare) il sistema dei prodotti alimentari a marchio Ue nell’arco di 30 anni ha dato vita a una vera e propria “Dop economy” che vale oggi 20 miliardi di euro solo in Italia e 90 in Europa. «Il punto che è stato difficile far capire alle menti più liberali e mercatiste – ha spiegato l’europarlamentare Pd, Paolo De Castro, relatore del Testo unico delle Dop, l’ultima riforma appena approvata dal Trilogo – che i prodotti alimentari di qualità non sono una commodity. Non sono la soia o il mais e vanno sottratti all’ottovolante delle quotazioni, al ‘teorema della ragnatela’, perché la loro qualità è frutto di tradizioni e soprattutto di sistemi di produzione che spesso richiedono lavorazioni accurate e stagionature lunghe con i relativi differenti costi di produzione. Nel tempo abbiamo dimostrato che i timori liberal non erano fondati. Il sistema dei marchi Dop e Igp non è un artificio per tenere alti i prezzi, ma un regime in grado di produrre valore e redistribuirlo sui territori. Senza dimenticare che la produzione a marchio Ue nel tempo è sempre cresciuta allargando il numero degli operatori e dei territori coinvolti».
Ed è per questo che nella riforma appena approvata la durata della programmazione dell’offerta è stata raddoppiata (da 3 a 6 anni) facendo quasi dimenticare i lunghi contenziosi che sul tema ci sono stati in passato con le autorità Antitrust in qualche caso approdati alla Corte di giustizia Ue.
Il rafforzamento della programmazione dell’offerta non è l’unica novità del nuovo Testo unico. Ne fanno parte anche il rafforzato ruolo dei consorzi (che potranno promuovere anche attività di turismo enogastronomico), l’indicazione in etichetta del nome del produttore (così al ristorante si potrà chiedere il prosciutto o il Parmigiano di specifici prosciuttifici o caseifici come avviene già da tempo per i vini e le cantine), vincoli più stringenti per l’utilizzo dei prodotti Dop e Igp come ingredienti di prodotti trasformati. E si va un salto in avanti anche sulla tutela col divieto di richiedere in futuro la registrazione di termini che evocano denominazioni d’origine (come il Prosek croato o l’aceto balsamico sloveno) e l’estensione della tutela ex officio (che in presenza di un falso Dop obbliga a intervenire le autorità del Paese europeo dove il prodotto fake è stato individuato) anche ai siti internet e ai domini online.
Ma De Castro già intravede la nuova sfida. «Il Testo Unico dei prodotti Dop e Igp all’interno del quale ho voluto ci fosse anche il vino che qualcuno voleva invece separare – spiega – regolamenta l’eccellenza alimentare europea. Un universo che rappresenta la punta di diamante dell’economia Ue, un fatturato di oltre 90 miliardi di euro e che in virtù dei valori e dell’indotto che genera sui territori merita di essere sottratto ai recenti attacchi al settore alimentare fatti di etichette allarmistiche, battaglie salutiste di ogni specie e diktat ambientalisti sul packaging».
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