il risiko energetico del mediterraneo orientale

Dopo Israele anche Cipro si prepara a vendere gas all’Egitto

di Sissi Bellomo

Ministro dell’Energia cipriota Yiorgos Lakkotrypis (Ap)

2' di lettura

Dopo Israele anche Cipro si prepara a esportare gas attraverso l’Egitto, una mossa che rafforza ulteriormente l’aspirazione del Cairo a diventare hub energetico nel Mediterraneo orientale, a scapito della Turchia.

È stato il ministro dell’Energia cipriota Georgios Lakkotrypis a rivelare, attraverso un’intervista alla Bloomberg, che Nicosia «potrebbe raggiungere un accordo nelle prossime settimane» per vendere la produzione di Aphrodite «a impianti egiziani di gas naturale liquefatto».

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Il giacimento in questione, scoperto nel 2011, non è stato ancora sviluppato perché le sue riserve (128 miliardi di metri cubi) sono troppo limitate per giustificare la realizzazione di infrastrutture di trasporto. Lo scenario è cambiato grazie al successo delle esplorazioni di Eni e Total, che questo mese hanno individuato risorse «promettenti» nel pozzo Calypso 1.

La tensione nell’area è alle stelle: la nave da perforazione italiana Saipem 12.000 è bloccata dal 9 febbraio al largo di Cipro, dove la Turchia – che contesta i confini delle acque territoriali – sta effettuando esercitazioni navali militari che ha appena prorogato fino al 10 marzo.

Ma se Cipro riuscirà a sviluppare i suoi giacimenti, come ha ribadito di voler fare, costruire un gasdotto verso l’Egitto potrebbe essere la soluzione più efficiente per commercializzare il gas.

Nicosia ha anche siglato l’intesa a sostegno di EastMed, pipeline che collegherebbe Israele all’Italia, passando per Cipro e Grecia. Ma per Aphrodite ci sono una serie di fortunate «coincidenze». A controllare il giacimento sono le stesse società coinvolte nello sfruttamento di Tamar e Leviathan al largo di Israele e che hanno appena sottoscritto un contratto decennale per cedere gas all’egiziana Dolphinus Energy, ossia la texana Noble Energy (35%) e l’israeliana Delek (30%).

L’altro socio di Aphrodite, al 35%, è Royal Dutch Shell, che guarda caso controlla uno dei due impianti di liquefazione del gas sulla costa egiziana, quello di Idku. L’altro, Damietta Lng, fa capo all’Eni attraverso Union Fenosa. Anche questo tornerà utile per l’export, grazie all’avvio di Zohr e allo sviluppo di altri depositi di gas in Egitto.

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