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Dopo la resilienza in pandemia per l’agroalimentare la ripresa è più lenta

Rapporto Istat-Crea: già nel 2021 l'incremento dei costi di produzione ha provocato un nuovo taglio dello 0,8% del valore aggiunto

di Giorgio dell'Orefice

(Adobe Stock)

3' di lettura

Il settore agroalimentare è il comparto anticiclico per eccellenza. Una dote che è stata confermata anche nel biennio pandemico, quello 2020-21, nel corso del quale ha messo in luce prima una grande capacità di resilienza nel corso del lockdown (quando la produzione di alimenti è stata preservata e non si è mai interrotta perché considerata fondamentale) ma registrando, tuttavia, una crescita lenta nel 2021 quando tutti gli altri settori hanno messo a segno un forte recupero produttivo e di valore aggiunto. È lo spaccato che emerge dal rapporto Economia e Legislazione agricola realizzato da Istat e Crea e reso noto il 26 aprile.

«Le attività legate alla coltivazione e alla pesca – spiegano Istat e Crea – sono state incluse tra quelle necessarie e quindi non hanno subito divieti e restrizioni imposti ad altre attività. Tuttavia, anche il settore agroalimentare si è dovuto scontrare, nel corso del lockdown, con le difficoltà delle catene logistiche, con le restrizioni alla libertà di movimento e alla caduta generalizzata del reddito dei consumatori. Il settore nel 2020 ha perso l’1,8% della produzione e il 4,7% del valore aggiunto in volume a fronte del calo dell'8,8% registrato dal complesso dell'economia nazionale».

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La crisi ha danneggiato, invece, soprattutto le attività secondarie dell’agricoltura come l'agriturismo. Penalizzata anche la pesca con un pesante ridimensionamento (-19,9% di produzione e meno 26,8% nel valore aggiunto).La valenza anticiclica che nel 2020 ha visto il settore resistere nel 2021 si è però evidenziata in una ripresa più lenta del resto dell’economia nazionale. E questo soprattutto a causa di fattori climatici avversi: i volumi produttivi nel 2021 sono calati (-0,4%) e l'incremento dei costi di produzione ha provocato un nuovo taglio dello 0,8% del valore aggiunto.

«Nel biennio 2020-2021 – si legge nel rapporto Istat Crea – l’agricoltura ha mantenuto inalterato il suo contributo alla formazione della ricchezza nazionale. A pagare il prezzo della crisi sono state soprattutto le attività secondarie e i servizi di supporto, ma la capacità di resilienza del settore ha permesso di contenere la perdita di valore aggiunto, che nel 2020 è diminuito in volume del 4,7%, fermandosi appena sopra i 33,3 miliardi di euro».

Nel 2021 hanno inoltre pesato oltre i fattori climatici avversi il robusto rincaro, in particolare nella seconda parte dell'anno, dei costi degli input produttivi. «In controtendenza rispetto agli altri settori economici – sottolinea ancora il rapporto – che hanno visto un recupero generalizzato del valore aggiunto, il settore ha pertanto registrato una ulteriore modesta contrazione: la produzione è diminuita in volume dello 0,4% e il valore aggiunto dello 0,8%».
Nel 2021, invece, hanno recuperato (+9,6%) quelle attività secondarie dell'agricoltura che nel 2020 avevano sperimentato una drastica riduzione dei volumi di produzione (-17,2%).L’elemento distintivo del biennio, ma soprattutto dell'ultimo anno, è stato il progressivo incremento dei prezzi, lievitati dallo 0,7% al 6,7%, e il repentino innalzamento dei costi dei consumi intermedi, da -1% del 2020 a +8,5% nel 2021

Il valore aggiunto dell'industria alimentare, delle bevande e del tabacco - secondo quanto emerge dal rapporto Istat-Crea - cresciuto dell'1,6% a prezzi correnti ma diminuito del 3,3% in volume nel 2020, ha segnato un consistente incremento in volume nel 2021 (+6%) e una diminuzione del 2,6% a prezzi correnti. Nel 2020 nonostante le attività siano proseguite – spiegano ancora Istat e Crea – l'occupazione nel settore agricoltura, silvicoltura e pesca, misurata in Unità di lavoro (Ula), è diminuita del 2%, a sintesi di un calo del 3,4% della componente del lavoro dipendente e dell'1,3% di quella indipendente. Ancora più decisa è stata la flessione dell'occupazione nell'industria alimentare (-5,2%), che ha indotto un calo complessivo del 2,8% dell'input di lavoro nell'agroalimentare. Segnali di una decisa inversione di tendenza si sono registrati invece nel 2021: le Ula sono cresciute del 3% in agricoltura (+5,5% i dipendenti e +1,7% gli indipendenti) e del 5,4% nell'industria alimentare, recuperando quanto perduto dall'agroalimentare nell'anno precedente in termini di occupazione (+3,6%).

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