Dopo Tokio e Londra le cravatte di Talarico sbarcano a Madrid
di Marco Ludovico
3' di lettura
La cravatta resta intramontabile. E Maurizio Talarico, classe 1968, racconta la storia di un’impresa ormai ventennale ma in crescita continua. A dispetto della crisi Covid-19 - alcune industrie del settore hanno subìto fino a -70% di giro di affari - aumenta il suo fatturato.
«È stato quasi un milione di euro nel 2019; 1,3 milioni nel 2020; 1,7 milioni l’anno scorso» spiega l’imprenditore. Le previsioni per quest’anno sono ancora più positive. Entro giugno Talarico sbarca a Madrid: la sua terza sede all’estero dopo Tokio nel 2009 e Londra nel 2014. Sul banco o in vetrina sempre cravatte artigianali. Non più di tre per ogni modello. Tutte fatte a mano. Con la cucitura a «x» brevettata e inconfondibile.
La storia e la prospettiva di Talarico si fonda su un doppio binario. Da quando aveva 12 anni e risiedeva a Catanzaro, una passione assoluta per la cravatta. Tessuti, disegni, tinte, fantasie: esaminati, confrontati e selezionati tutti i giorni da Maurizio. Tra i colori da scegliere «preferisco il celeste al blu. Mai l’arancione o il giallo». Anche se ci sono Paesi esteri dove sono richiesti. La ricerca di nuovi disegni è quasi ossessiva. «Sono circa 9mila l’anno» considerate varianti geometriche e cromatiche.
Unico finora in Europa, ha lanciato la cravatta eco-responsabile. Sul sito (www.talaricocravatte.it) è il primo banner visibile. Una sorta di rottamazione: si consegna in negozio una cravatta usata, dà diritto a uno sconto del 40% se si acquista una nuova. Così chi non lo sa scopre l’esistenza di un consorzio per il riciclo delle cravatte usate e la vendita di quelle con seta riciclata. Il tessuto è diverso ma i disegni sono nello stesso stile di quelle tradizionali. «La richiesta di una cravatta eco-sostenibile è continua, sempre più alta. Un segno concreto e visibile, del resto, di impegno per l’ambiente».
Ma un prodotto per sfondare ha bisogno di azione commerciale, comunicazione strategica, sostenibilità finanziaria. È il secondo binario senza sosta dell’impresa. La storia comincia nel 1999 in un negozio «zona Capannelle a Roma con una vendita quasi porta a porta». Una sfida impossibile contro i big del settore. Ma la tenacia, anzi l’ostinazione calabrese, non si arresta.
«Chiesi un incontro con Giuseppe Bono (originario di Pizzoni in provincia di Vibo Valentia, n.d.r.) allora amministratore delegato e direttore generale di Finmeccanica. Entusiasta, ne comprò un bel numero per sé e mi mise in contatto con un primario istituto di credito». Fatta la debita istruttoria con questa start-up ante litteram, la banca «concesse un finanziamento oggi equivalente a 220mila euro. Nei 14 mesi successivi fu restituito». Da allora, aggiunge, «mai più fidi. Tutto autofinanziato».
Per farsi largo in un settore pieno di nomi altisonanti Talarico alimenta una costante operazione di consolidamento del marchio. Oggi, certo, il ricorso alla comunicazione social è imprescindibile. «Ma il passaparola resta strategico». Entra così ormai da tempo nel mercato istituzionale, delle grandi aziende e gruppi bancari. Dalla presidenza della Repubblica a palazzo Chigi, i ministeri, le Forze armate e di Polizia, imprese di stato e private. Le sue cravatte così sono impreziosite dai loghi dei segni antichi e nuovi della storia d’Italia. Diventano dono nelle visite ufficiali e personali. Amico di Francesco Cossiga, Maurizio espone nel negozio in via dei Coronari la foto con l’ex presidente della Repubblica. Ma anche quella con Sergio Mattarella, appena rieletto.
L’espansione internazionale è un’antologia di aneddoti. Le cravatte Talarico entrano alla casa Bianca con George W. Bush. «Le ordinava ogni sei mesi. Alla cena di commiato, a fine mandato, regalò ai suoi 23 funzionari una nostra cravatta personalizzata». Mentre il record di vendita in un colpo solo lo fa con l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani.
«Chiese per sè 150 cravatte, ordine unico. Tutte in confezione di legno e con il simbolo dello stato arabo». Quando si dice l’imbarazzo della scelta.
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