Tra cinema e musica

Dopo “Whiplash” e “La La Land”, adesso è il momento di “The Eddy”

Dopo i due celebri film, Damien Chazelle continua il suo percorso “jazzistico” andando a formare una sorta di trilogia con una nuova serie tv da lui diretta disponibile su Netflix

di Federico De Feo

3' di lettura

«Se non puoi essere famoso, sii famigerato». In queste parole pronunciate da Elliot Udo, protagonista della miniserie The Eddy, prodotta e diretta dal premio Oscar Damien Chazelle dall'8 maggio su Netflix, sembra riassumersi l'epopea del jazz. Musicisti che non rincorrono il successo personale ma la perfezione artistica, studiando nuove tecniche compositive che non possono essere replicate e non concedono nulla alla popolarità e alla facilità della musica d'intrattenimento: «Please, Don't Dance». Ogni artista o club che ha segnato la storia di questo movimento artistico si è contraddistinto più per la fama che lo precedeva che per la propria popolarità commerciale, e questo Chazelle lo sa benissimo. Fin da Whiplash, infatti, ha cercato di mettere in risalto le numerose leggende che popolano questo mondo; dal piatto lanciato da Jo Jones verso Charlie Parker perché non suonava in modo corretto, fino allo sgabello dove sedeva Hoagy Carmichael e che Sebastian possiede gelosamente in La La Land. La musica non è un divertimento, è tutto ciò che hanno.

Damien Chazelle continua il suo percorso “jazzistico”, interrotto solamente dalla realizzazione di The First Man, andando a formare una sorta di trilogia (Whiplash, La La Land, ora The Eddy) dove personaggi assoluti, alter ego di loro stessi, cercano l'espiazione del proprio dolore attraverso la musica, unica fonte di appagamento ed ossessione. Andrew Nayman (Whiplash), Sebastian Wilder (La La Land) e Elliot Udo (The Eddy) sembrano coesistere nello stesso universo e gli strumenti sono un'estensione del proprio corpo e delle loro emozioni.

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The Eddy, nome del club di Parigi dove si sviluppano e si intrecciano le storie dei personaggi narrati, racconta di Elliot Udo (Andrè Holland), un tempo celebre pianista jazz, che lasciata New York per Parigi decide di aprire un locale insieme al suo socio ed amico Farid (Tahar Raim) e la sua compagna Maja (Joanna Kulig), cantante solista della band casalinga del club. Elliot cerca di espiare le sue colpe passate cercando di mantenere in vita The Eddy, ormai sua unica ragione di vita non riuscendo più a suonare, ma ben presto dovrà scontrarsi con i sospetti che nutre verso Farid e l'arrivo della figlia Julie (Amandla Stenberg), che riporterà alla luce ricordi e incomprensioni mai risolte.I personaggi che vivono nel club, tra cui la band (interpretata da musicisti professionisti e ideata dal 6 volte vincitore dei Grammy Awards Glen Ballard), sono figure che navigano negli inferi suburbani della metropoli, ricordando per attitudine e stile quelli che gravitavano al Minton's Playhouse di Harlem nei primi anni 40, locale dove nacque il Bepop. Ognuno di loro è alla ricerca di un'affermazione, di uno scopo per cui vivere e combattere, in cui gli affetti familiari sembrano essere l'unica congiunzione tra la musica e la vita.

Parigi è l'autentica co-protagonista della serie, dettando il ritmo sonoro degli avvenimenti in scena, ma quello che ci viene mostrato non sono le sue classiche iconografie. Chazelle, che ha trascorso parte della sua infanzia nel 13° arrondissement, mette in risalto le commistioni etniche e culturali che da sempre contraddistinguono la capitale francese raccontandoci nei particolari la Périphérique, zona che separa il centro città dai sobborghi operai: «C'è questo mix a Parigi, dai un'occhiata a un condominio di epoca Haussmann e sei gettato nell'iconografia della Parigi di plastica. Ma poi proprio accanto c'è un muro spruzzato di graffiti che assomiglia di più all'Est Europa e in un altro angolo improvvisamente ti senti come se fossi in Nord Africa».

La scelta di Parigi non rappresenta solamente un elemento emotivo per il regista americano: la capitale transalpina è da sempre considerata la culla europea del jazz afroamericano. La città adottò fin da subito il jazz come elemento spirituale; ne sono la prova film come Ascensore per il patibolo del 1958 di Louis Malle, con la formidabile colonna sonora di Miles Davis, composta e ideata come un'infinita jam session, o Breathless, di Jean-Luc Godard con le musiche del pianista Martial Solal.

Damien Chazelle porta in scena la sua infanzia, Parigi, attraverso la passione irrequieta per il jazz e per il mondo fantastico che lo rappresenta e, mediante questo, racconta una storia familiare di dolore, rinunce ed amore, rendendo omaggio allo stile documentaristico musicale, con riprese a mano libere che ricordano Buena Vista Social Club e con un piano sequenza iniziale destinato a entrare negli annali del cinema contemporaneo.

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