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Ha due anime la nuova edizione del Festival Verdi di Parma, segnato dal cambio di guardia al timone di sovrintendenza e direzione artistica. Ma con Luciano Messi e Alessio Vlad. Il programma vede le scelte polarizzate, agli estremi. Niente vie di mezzo: quattro i titoli messi in campo, due del primo Verdi, il vate risorgimentale di Nabucco e Lombardi, frutti del trentenne che viene dalla campagna colta, butterato dal vaiolo preso sui Navigli, straziato dagli affetti della piccola famiglia appena costruita e subito distrutta.
La corda del dolore lo vede capace di intercettare la Milano pulsante e febbrile, in odore di ’48. Non sembra uscito dai pentagrammi dello stesso compositore Falstaff, grandioso compimento del catalogo, scritto da un ottantenne che con quella partitura, di sublime modernità e ironia, segnerà il Novecento. Accanto a lei, per completare il dittico agli antipodi, Messa da Requiem, che ovviamente non è un’opera, ma riafferma la possibilità di un latino sacro e intinto nella passione, come aveva insegnato Mozart. Fuori dalle opere, occhio ai concerti: c’è Luca Salsi nel gran gala benefico, e c’è Omer Meir Wellber che debutta nel dies natalis.
Se due sono le anime che scandiscono il poker teatrale, altrettante ne troviamo per i percorsi diramati del Festival: di qui infatti ospitati nelle sedi istituzionali, con il fulgido Regio in prima fila, cuore della città di Parma, e accanto la bomboniera di Busseto, che offre esperienza unica di ascolto, e ancora il Magnani di Fidenza. Tutte sedi alte, di tradizione, di gran bellezza. Chissà che regole di sicurezza e permessi burocratici non riescano a recuperare per le edizioni a venire quel luogo di incanti visivi e acustici che è il Farnese, un tempo aperto (lo riaprì Claudio Abbado, con una sfida vinta). Ma ecco la doppia anima, perché accanto ai luoghi alti, altri - e tantissimi! - ne ha stanati e continua a scoprirne il Festival Off, la costola ricchissima creata fuori dal seminato. Per un pubblico da intercettare e coinvolgere. Dove si insegna, con meritevole spirito didattico, tra periferie e per spettatori imprevedibili. Dove il dress code non è richiesto, ma la mente aperta sì.
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