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Due «RIVOLUZIONI» peseranno sul sud

di Aldo Barba

3' di lettura

Il settore automobilistico italiano affronta le incertezze causate dal divieto Ue di immatricolare nuove auto e veicoli leggeri con motore endotermico a partire dal 2035 in un contesto già scosso dall’acquisizione del gruppo FCA da parte di PSA. Entrambi questi sviluppi hanno conseguenze molto rilevanti per il Mezzogiorno. Da un lato, Stellantis è intenzionata a completare il processo di concentrazione in Italia della sola produzione dei modelli di gamma media e alta, rinunciando ai volumi produttivi dei modelli del segmento utilitaria, oggi realizzati a Pomigliano d’Arco e Melfi, e, in prospettiva, da delocalizzare in Polonia, Slovacchia, Serbia e Turchia. Dall’altro, i fornitori della componentistica auto del Mezzogiorno sono in prevalenza legati da un rapporto di mono-committenza con gli stabilimenti di assemblaggio Stellantis. Nelle regioni del Meridione, dunque, gli effetti negativi sui livelli occupazionali causati da delocalizzazioni della produzione dell’utilitaria e da smantellamento della filiera per l’endotermico sono certi; del tutto incerti appaiono invece gli effetti positivi derivanti dal puntare sull'alta gamma e dal coinvolgimento nella filiera per l’elettrico. Il problema non riguarda soltanto il Sud, come testimoniato dalle vicende della GKN di Campi Bisenzio, ma è fuor di dubbio che al Meridione le conseguenze saranno ben diverse da quelle che si verificheranno in Veneto e Lombardia, maggiormente collegate ai produttori tedeschi, in Piemonte, con la sua strutturata rete di sistemisti e di progettazione che si aggancerà alla Capo filiera francese, oppure in Emilia Romagna, dove è andata sviluppandosi una filiera basata su produzioni tecnologicamente avanzate e un portafoglio clienti diversificato. Se in Italia la gran parte dell’assemblaggio finale di autovetture avviene in Campania e Basilicata, la quota maggiore delle imprese di componentistica è nel Nord-Ovest (oltre il 60% in Piemonte e Lombardia). Quella del Sud Italia è concentrata in Campania (3,5%) e Puglia (1,3%). L’indotto campano ruota intorno agli stabilimenti di Pomigliano d’Arco e Pratola Serra. A Pomigliano d’Arco a fine 2022 è stata avviata la produzione dell’Alfa Tonale, che in prospettiva sostituirà la Panda. Pratola Serra dal 2024 sarà l’unico stabilimento di produzione del motore diesel per i veicoli commerciali di tutto il gruppo. Tuttavia, se nel 2003 nessuno dei 135 fornitori di Pratola Serra era estero e 25 erano del Mezzogiorno, dei 212 fornitori del 2018, 97 erano esteri e soltanto 11 erano del Sud. Un quadro analogo emerge per i fornitori di Pomigliano d’Arco. Pur non mancando imprese della filiera che sono cresciute molto anche all'estero (si pensi alla Adler), la tendenza delle subforniture campane è di contrarsi. E’ difficile pensare che il passaggio all’alta gamma e all’elettrico possa invertire questa tendenza. In apparenza diverso è il discorso relativo alla Puglia, dove intorno agli stabilimenti Bosch e Magneti Marelli è nato un germe di distretto meccatronico. Si noti, però, che nessuno dei cospicui investimenti della Bosch sull’elettrico sta avvenendo a Bari, dove si contano oltre 600 esuberi; allo stesso modo, la Magneti Marelli, che aveva siglato con la Porsche un accordo per produrre a Modugno un nuovo motore elettrico, ha poi spostato gli investimenti in Germania e minaccia licenziamenti che quasi certamente la più modesta intesa con Maserati non riuscirà a scongiurare. Rinunzia agli alti volumi produttivi dell'utilitaria; divieto dell’endotermico nella cui produzione storicamente eccelliamo; assenza di un Capo filiera nazionale. Se gli sviluppi futuri del settore automobilistico italiano sono forse imprevedibili, meno imprevedibili sembrano essere quelli delle sue articolazioni nel Meridione.

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