È nelle città intermedie che la storia incontra un futuro più sostenibile
Due anni dopo l’inizio della pandemia nell’inverno 2020, le grandi città si sono riconquistate in buona misura la centralità che avevano
di Roberto Bernabò
4' di lettura
Due anni dopo l’inizio della pandemia nell’inverno 2020, le grandi città si sono riconquistate in buona misura la centralità che avevano. Non siamo andati tutti – come aveva un po’ semplificato la narrativa di quel tempo – a vivere in provincia inseguendo un’altra idea di qualità della vita.
Ma se la resilienza delle grandi città è evidente, abbiamo, per dirla con il Calvino delle Città invisibili, davvero avvertito di essere dentro un momento di crisi della vita urbana: «La città troppo grande come l’altra faccia della crisi della natura».
L’affondo del Covid-19 ha posto così alle grandi città la necessità di accelerare il proprio ripensamento dentro una matrice che triangoli tra sostenibilità ecologica, sociale ed economica. Contemporaneamente ha rimesso le città medie, e ancora più puntualmente “intermedie” (come le definisce il prezioso studio sull’Italia policentrica dell’Associazione Mecenate 90), al centro della riflessione politico-sociale e urbanistica come non accadeva da decenni.
Non solo perché queste città, figlie spesso di una storia antica, nate con specifiche funzioni socio-economiche e la bella architettura come autorappresentazione, già esprimono una matrice di sostenibilità. Ma perché qui vive oltre la metà degli italiani (molto più della media europea), altri stanno arrivando e dunque i target di futuro da centrare non possono che compiersi in questi nodi di comunità.
Consumo del suolo, inquinamento dell’aria, riequilibrio demografico, gestione dell’immigrazione, welfare locale, innovazione imprenditoriale, mercato del lavoro: tutte le grandi sfide chiedono un’azione forte in questa dimensione territoriale.
Per le città medie/piccole significa allora rigenerare la propria identità dentro nuove dinamiche di relazione allargate e allungate che fanno saltare tanto i nessi identitari fondativi quanto i confini amministrativi. Significa rigenerarsi guardando oltre il proprio tempo, come fecero i costruttori delle cattedrali medievali, in un percorso fondato sull’innovazione ecologica e digitale, alimentato da una costante accelerazione.
Dando dunque una risposta nuova a una domanda di “medio e piccolo” che c’è, è forte ed è effettivamente cresciuta al di là della resilienza delle grandi città.
Le prime analisi sui dati Istat del 2021, elaborate dalla redazione del Lunedì del Sole 24 Ore confermano infatti non una fuga di massa, ma indubbiamente la riduzione dell’attrazione delle grandi città metropolitane e contemporaneamente la spinta a trasferirsi dai piccoli paesi di cerniera nei più serviti centri urbani di provincia.
Insomma, si impone ancor più che un modello della «città a 15 minuti», quasi quello delle città a «a 5 minuti» – come scrive Michela Finizio sul Sole 24 Ore del 16 maggio – «dove cioè comodità e servizi si trovano sotto casa, in una dimensione urbana dove tutto è più accessibile».
Tra le grandi aree metropolitane oltre i 250mila abitanti solo Bologna, Verona, Genova e Bari hanno chiuso il 2021 con un saldo migratorio positivo. Tra i 250mila e i 65mila abitanti, ci sono città come Pescara, Bergamo e Trieste, ma pure i centri di Fiumicino, Guidonia e Aprilia. Tra i 35mila e i 65mila abitanti emergono Pordenone e altri centri intermedi che sfruttano gli ottimi collegamenti con le aree metropolitane: come Carini, appena fuori Palermo, o Marino a sud di Roma.
In genere a crescere sono tutte città che tendono a essere ben posizionate nella classifica della Qualità della vita del Sole 24 Ore, la più grande e completa radiografia del tessuto sociale ed economico del Paese.
Se questa tendenza non è dirompente ma è un trend e si aggiunge al peso specifico che già le città medie e piccole oggi hanno, ecco probabilmente l’utilità – di fronte a una politica che fatica a costruire un pensiero strategico, a leggere la complessità del mutamento progressivo in cui siamo immersi – di individuare dei punti fondanti per un’Agenda urbana delle città medie.
Lo abbiamo fatto attraverso un’intervista a dieci interlocutori – studiosi, manager, imprenditori – capaci di offrire una trama di risposte e di visioni al servizio di chi deve governare. Ecco il cuore del libro Città Italia, edito dal Sole 24 Ore e oggi presentato al Salone del libro di Torino.
Giuseppe De Rita, Alessandro Rosina, Francesca Bria, Davide Dattoli, Mario Cucinella, Laura Morgagni, Aldo Bonomi, Giuseppina Gualtieri, Francesco Ferrini e Patrizia Asproni illuminano i nodi chiave che vanno dalla demografia alla partecipazione, dal rapporto tra residenti e turismo alla cultura come forza di attrazione e resilienza, dall’inserimento nelle piattaforme produttive all’innovazione tecnologica, dall’evoluzione dei trasporti alle basi strutturali per mantenere i giovani e consentire la crescita della città.
Un pensiero strategico oggi più che mai necessario con la sfida del Piano nazionale di ripresa e resilienza e gli ingenti fondi pubblici a disposizione delle città.
Una scommessa, quella del Pnrr, resa all’improvviso più impervia dai nuovi scenari geopolitici, che è sotto la lente quotidiana dell’Osservatorio curato dalla redazione romana del Sole 24 Ore, insieme a Lab24, e che si giocherà sicuramente sulla efficace gestione dei processi attuativi. Ma, ancor di più, proprio sulla conoscenza dei percorsi di cambiamento e la capacità di riannodare i fili dell’innovazione dentro una prospettiva evolutiva delle città.
Perché, come ha scritto il capo della redazione romana del Sole Giorgio Santilli, un punto oggi è chiaro: «La rigenerazione riguarda la “trama della vita” nei suoi aspetti sociali, culturali, economici: da lì si parte e l’intervento sulla città fisica – a diverse scale dalla casa al quartiere alla città – diventa strumento di questo processo che punta dritto alle relazioni, anche quando diventano partecipazione, condivisione di un progetto, tentativo di ricostituire una comunità».
E le dieci storie di città medie e piccole – Peccioli, Bolzano, Zola Predosa, Brescia, Favara, Trento, Messina, Ferrara, Padova, Parma – che completano il libro, guardano proprio a quei segnali specifici di un’innovazione che incide su questa trama nelle città che sono il tessuto connettivo del Paese.
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