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È l'equità fiscale la chiave per riformare il catasto

di Gilberto Turati

(fusolino - Fotolia)

3' di lettura

Dopo lunghe trattative, nei giorni scorsi la maggioranza sembra aver trovato l'intesa sulla delega fiscale. Tra i punti controversi, la riforma del Catasto è quella che più ha acceso gli animi. I contrari sostenevano che la revisione delle rendite fosse il primo passo per un inasprimento del carico fiscale sulla casa, presumibilmente dell'Imposta Municipale Unica (IMU). Si tratta di un argomento di facile presa politica, con il quale si vincono e si perdono le elezioni. Anche se varrebbe la pena ricordare che, nel 2014, quelli oggi contrari avevano approvato la delega sul Catasto; poi non se ne fece nulla.
Un buon punto di partenza per andare oltre gli slogan elettorali è capire di che cosa si parli quando si considerano le imposte sulla casa che potrebbero aumentare a causa della riforma del Catasto. La principale, non l'unica (visto che anche quella di registro per le compravendite si basa sulle rendite catastali), è proprio l'Imu.

L'IMU è il punto di arrivo della tassazione patrimoniale delle abitazioni, un processo che si sviluppa a partire dall'Imposta Straordinaria sugli Immobili (ISI), varata nel 1992 dal governo Amato, in piena crisi finanziaria, poi trasformata nell'Imposta Comunale sugli Immobili (ICI), nell'ambito di un processo di riforma del paese verso una qualche forma embrionale di federalismo fiscale. La patrimoniale sulla casa è stata rivista varie volte, in particolare per quanto riguarda la tassazione dell'abitazione principale, che è al momento esente. Il calcolo di quanto dovuto dai contribuenti per l'IMU è basato sulla rendita catastale di ciascuna abitazione. Siccome i valori catastali non sono aggiornati, per determinare la base imponibile di quella che dovrebbe essere una imposta patrimoniale (quindi sul valore) delle abitazioni si prende la rendita catastale, la si rivaluta del 5 per cento e la si moltiplica per 160 (un coefficiente che è cambiato nel tempo per tener conto delle modifiche nel valore delle abitazioni che si applica alla maggior parte degli immobili residenziali). Per esempio, una abitazione con una rendita di 500 euro (la rendita media per le abitazioni del gruppo A intestate alle persone fisiche, sulla base delle statistiche catastali fornite dall'Agenzia delle Entrate) varrebbe, ai fini dell'IMU, 84.000 euro. Nonostante la rivalutazione, si tratta di un valore più basso del reale valore di mercato.

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Ma al di là della sottostima, il problema principale che oggi soffre la tassazione patrimoniale della casa è un problema distributivo: i coefficienti di rivalutazione che si usano al momento sono chiaramente arbitrari e uniformi sull'intero territorio nazionale, quindi creano distorsioni sul piano fiscale perché non tutte le rendite catastali che si utilizzano sono vecchie allo stesso modo. Alcune abitazioni, a seguito per esempio di interventi di ristrutturazione e di successivi passaggi di proprietà, sono state accatastate (o ri-accatastate) di recente; altre invece continuano ad avere rendite molto vecchie. Alcune stime mostrano che il disallineamento tra valore reale di mercato e il valore catastale (così come calcolato ai fini IMU) è maggiore nei centri storici delle grandi città rispetto alle loro periferie; o in alcune zone turistiche a scapito delle aree interne del paese. Accanto a queste differenze nelle rendite, per quanto possa sembrare incredibile, visto che sono immobili e ben visibili, c'è poi il tema degli “immobili fantasma” mai accatastati (e quindi mai tassati). La riforma del Catasto dovrebbe essere pensata per eliminare queste incongruenze, che creano iniquità orizzontali (per abitazioni che dovrebbero avere lo stesso valore) e iniquità verticali (per abitazioni che invece dovrebbero avere valori radicalmente diversi in base ai prezzi di mercato). Inutile dire che le abitazioni nei centri storici delle grandi città e nelle zone turistiche sono soprattutto appannaggio di chi ha un reddito maggiore.

Quindi la riforma favorirebbe una maggiore equità fiscale. E l'argomento che con le nuove rendite si pagherebbe di più è fuorviante: si potrebbe introdurre la parità di gettito esplicitamente, come nel 2014, riducendo l'aliquota ordinaria, tenendo conto dell'aumento delle rendite. Al momento, in ogni caso, la delega impone esplicitamente che tutti i tributi collegati alla casa siano congelati finché non viene completata la mappatura dell'intero patrimonio immobiliare, almeno fino al 2026. La parità di gettito porterebbe ad una redistribuzione del carico fiscale: chi è stato finora avvantaggiato dalla sottostima della rendita pagherebbe di più, chi è stato finora penalizzato pagherebbe invece di meno. Pensiamoci quando torneremo a parlarne.

*docente di Scienza delle finanze, Università Cattolica del Sacro Cuore

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