È il momento di scegliere quale futuro, non di pronosticarlo
Il focus è sulla qualità delle azioni quotidiane, sul modo in cui ci comportiamo, interpretiamo il nostro ruolo e svolgiamo le nostre attività
di Gianluca Rizzi *
3' di lettura
I numeri sono stati i veri protagonisti delle notizie nel corso di questi mesi difficili, come forse non lo erano da tempo. I numeri nel senso delle statistiche che misurano la portata dei fenomeni e la loro dimensione e proporzione rispetto ad altri fenomeni, più o meno paragonabili. Abbiamo letto tutti gli innumerevoli paragoni che sono stati fatti per dare l’idea dell’indice di rischio di una vaccinazione rispetto a tante altre cose che abitualmente facciamo. Dal canto mio ho fermamente sostenuto il potere dei numeri di rassicurarci rispetto a scelte o decisioni che altrimenti prenderemmo di pancia e quindi al buio.
Sappiamo bene che peso abbiano nella nostra percezione del mondo alcuni cosiddetti bias, ovvero distorsioni percettive e cognitive che integrano la nostra visione della realtà quando le informazioni sono poche oppure la semplificano terribilmente quando sono troppe. L’obiettivo rimane lo stesso: prendere una decisione in velocità.
Ora, in questi mesi dal mio personale (e privilegiato) osservatorio di professionista a contatto con molte aziende e con lo sguardo sempre posato sui social, in primis Linkedin, non ho potuto fare a meno di notare la proliferazione di report, statistiche, numeri, analisi sulle principali trasformazioni derivanti dall’emergenza pandemica di questa epoca. Ed è naturale che sia così, visto che, di fronte a una situazione radicalmente inedita, la cosa più sensata da fare è fermarsi un attimo a ragionare sulla dimensione e sulla portata dei fenomeni per capirli prima di agire.
Augurandomi che anche la mia visione non sia stata in qualche modo condizionata da qualche bias che mi sfugge, provo a riferirmi ad un esempio su tutti: lo smartworking nel futuro prossimo.Ce n’è di ogni: global survey, report, sondaggi, analisi, stime, proiezioni, interviste, opinioni. Tutti, legittimamente e comprensibilmente peraltro, provano a dare in maniera più o meno strutturata il proprio punto di vista. La sensazione è che nella maggior parte dei casi si tratti di pronostici su un futuro che ci riserverà quasi certamente ancora molte sorprese (alzi la mano che non si è sentito spiazzato almeno una volta negli ultimi mesi da qualche deviazione inattesa rispetto al percorso lineare emergenza, chiusure, ristori, vaccini, riaperture).
Il libro “Giocati dal caso”, scritto da N. Taleb e pubblicato esattamente 20 anni fa, si chiude così: “I consigli illuminati (e “amichevoli”) non lasciano traccia per più di qualche istante se vanno contro la nostra natura. L’aspetto interessante dello stoicismo è che fa leva sulla dignità e sul senso estetico, cose che fanno parte dei nostri geni. Al prossimo evento sfavorevole iniziate a dare importanza all’eleganza. Esibite in tutte le circostanze il sapere vivere. […] L'unica cosa sulla quale la signora Fortuna non ha il controllo è il vostro comportamento. Buona fortuna”.
Si tratta di un testo forse meno conosciuto rispetto agli altri successivi (Cigno nero e Antifragilità) ma che di fatto in embrione li anticipa. Il succo, per come mi sono permesso di interpretarlo, è: la Fortuna si metterà sempre di mezzo, ovvero più tecnicamente il contributo del caso nelle nostre attività quotidiane è ineliminabile, nel bene e nel male. Il nostro “piccolo” limite è che quando le cose vanno bene tendiamo a sopravvalutare il nostro merito, quando vanne meno bene, diciamo anche male, allora tendiamo a fare il contrario ovvero a sopravvalutare il ruolo, avverso, proprio della Fortuna.
Qual è una delle conclusioni a cui credo arrivi Taleb e a cui sicuramente giungo io? Meglio concentrarsi sulla qualità delle nostre azioni quotidiane, sul modo in cui ci comportiamo, interpretiamo il nostro ruolo e svolgiamo le nostre attività. È utile visualizzare i risultati che vogliamo raggiungere ma senza esserne ossessionati, pena il rischio di grandi frustrazioni semmai il caso ci dovesse mettere i bastoni tra le ruote.
Certamente focalizzarci sulla qualità delle nostre azioni aumenterà le probabilità di raggiungere il risultato desiderato. Aggiungo un elemento: solitamente nel mondo della ricerca economica si fa una distinzione tra l’analisi positiva e quella normativa. La prima presuppone l’idea di descrivere i fenomeni per quello che sono; la seconda si focalizza invece su come dovrebbero svolgersi le cose.
Metto assieme i punti: il futuro è incerto, l’analisi positiva utile ma limitante nella misura in cui ci porta a fare, nella migliore delle ipotesi dei pronostici paragonabili a quelli sportivi, anche se fact-based. Perché non iniziamo, come molti hanno già fatto (penso soprattutto alle aziende) a decidere noi che tipo di futuro vogliamo e a concentrarci sulla qualità della nostra azione quotidiana per aumentare le probabilità che il risultato sia effettivamente quello desiderato e non quello pronosticato?
La differenza può apparire sottile e invece è sostanziale. Per tornare al nostro smart working, meglio immaginarlo, progettarlo e realizzarlo piuttosto che pronosticarlo.
* Partner di Newton S.p.A.
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