1925-2017

È morto Zygmunt Bauman, il teorico della «società liquida»

di Giuseppe Sciortino

(ANSA )

3' di lettura

Se si chiedesse a un campione di europei mediamente colti di indicare il nome di un sociologo di cui hanno sentito parlare, è probabile che Zygmunt Bauman sarebbe in cima alla lista. È uno dei pochi accademici contemporanei che può vantare di avere reso un aggettivo, «liquido», di uso comune per descrivere esistenze, esperienze e prospettive sociali. La sua popolarità è indubbia: se si inserisce il suo nome su Google, vengono fuori poco meno di mezzo milione di pagine.

Possiamo immaginare che questa straordinaria popolarità abbia colto di sorpresa lo stesso Bauman. Un uomo che sembra avere vissuto diverse vite, piuttosto diverse le une dalle altre. È stato, negli anni della guerra e del dopoguerra, un rigido militante comunista e un sociologo fedele all'approccio marxista. Il suo manuale di sociologia, Lineamenti di una sociologia marxista (1964) ebbe un discreto successo e venne tradotto anche in Italia. Una dedizione critica, e presto non ricambiata. Quando il comunismo dell'Europa orientale assunse tratti esplicitamente antisemiti, Bauman stesso dovette emigrare, trasferendosi prima in Israele e poi in Inghilterra. Ha insegnato per molti anni all'università di Leeds, conosciuto nella cerchia dei colleghi ma in una relativa oscurità al di fuori di questa.

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Il Bauman che tutti conoscono è infatti molto giovane. Solo alla fine degli anni '80 del secolo scorso Bauman acquisisce una grande visibilità, divenendo uno dei teorici più conosciuti e coerenti di quello che all'epoca veniva chiamato postmodernismo. La rottura col Bauman precedente non poteva essere più radicale: al posto di inesorabili leggi di sviluppo storico, un futuro aperto e imprevedibile. Al posto dell'orgoglio dei produttori, un mondo di consumatori semi-ciechi. Al posto del progresso, la costante possibilità della barbarie. Al posto di grandi narrative che danno un senso alle cose grandi come a quelle minute, un universo di racconti incerti e frammentari. Al posto di intellettuali che guidano il cambiamento epocale indicando la strada del futuro, dei modesti professionisti che è già tanto se riescono a fornirne interpretazioni perennemente sfidate.

Una società di consumatori è una società liquida perché tutte le identità possono essere come non essere, tutte le appartenenze ingenerano fedeltà o tradimenti arbitrari

L'aggettivo che lo ha reso famoso è «liquido». In qualche modo, Bauman pensa che non sia il marxismo ad avere fallito, quanto il suo oggetto ad avere radicalmente cambiato pelle. È diventata una società in cui la produzione non conta molto, mentre il consumo è (quasi) tutto. E il consumo è per sua natura instabile e cangiante. Una società di consumatori è una società liquida perché tutte le identità possono essere come non essere, tutte le scelte potrebbero essere fatte diversamente, tutte le appartenenze – classe, genere, famiglia, fede, nazione, luogo – ingenerano fedeltà o tradimenti egualmente arbitrari. Il compagno fraterno di oggi può essere il concorrente di domani, e il carnefice del giorno dopo (e noi lo stesso per lui). Un mondo insicuro, che da un momento all'altro può dare troppo o troppo poco. Bauman esplora un mondo in cui si è inverata la profezia marxiana che vuole il capitalismo come la condizione in cui tutto ciò che è solido e stabile si scioglie nell'aria, tutto ciò che è sacro viene profanato. Salvo che per Marx questo è un passaggio necessario ed auspicato per acquistare la coscienza di noi stessi. Per Bauman invece è una condizione esistenziale che non ha alternative, quantomeno nel tempo storico che ci è dato da vivere. Producendo una condizione di paura e incertezza che contribuisce a rendere la situazione contemporaneamente instabile e inevitabile.

L'unica via d'uscita, una moralità individuale che non può tuttavia più legittimarsi in riferimento ad una tradizione condivisa

Gli stessi movimenti collettivi, quando non rivendicano semplicemente la difesa di qualche privilegio o rendita di posizione, sono costretti a un ruolo puramente negativo, capaci solo di dire solo quello che non vogliono. L'unica via d'uscita, se di via d'uscita si può parlare, una moralità individuale che non può tuttavia più legittimarsi in riferimento ad una tradizione condivisa.

I lavori di Bauman sono stati sottoposti a molte critiche, più o meno accurate. Alcuni hanno trovato le sue analisi eccessive, al limite della caricatura. Altri hanno osservato come l'evidenza storica offra pochi indizi di un passato esclusivamente dominato dal mondo della produzione, almeno quanto di un presente dominato dal consumo. Altri hanno notato come Bauman non fosse in grado, o quantomeno disponibile, ad accettare in modo laico l'economia di mercato – coi suoi pregi e coi suoi difetti – e di riconoscere che anche il liberalismo rappresenta una forma di moralità. È ancora presto per una valutazione serena di queste critiche. Quello che può essere riconosciuto a Bauman già oggi è di essere stato in grado di cogliere l'umore diffuso di questi decenni, il modo in cui tendiamo sempre più spesso a pensare a noi stessi e agli altri. Se non quello che siamo, quello che temiamo di essere diventati.

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