È ora che le fondazioni bancarie dialoghino con le università
Troppo spesso gli atenei scontano tagli alla spesa e conflittualità politica
di Alessandro Mazzucco
3' di lettura
Caro Direttore,
le questioni di merito sollevate dalle recenti dimissioni del ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca Lorenzo Fioramonti non possono non interrogare chi si trova a presiedere una Fondazione di origine bancaria dopo aver ricoperto il rettorato di un’università statale. Preoccupa, naturalmente, che anche l’emergenza “ricerca e alta formazione” sia finita nel tritacarne della conflittualità politica, con puntuali scambi di accuse e rimpalli di responsabilità fra partiti di turno nella maggioranza o all’opposizione. Ma i governi di ogni colore si susseguono e la crisi dell’universita italiana non fa che aggravarsi, all’interno della lunga stagnazione dell’Azienda-Italia.
I riflettori dei media si accendono improvvisamente sulla carenza di medici negli ospedali italiani, ma lasciano nella penombra il calo tendenziale di docenti e ricercatori universitari. Autodenunciamo una ventennale crisi della produttività del lavoro in Italia, ma continuiamo a non fare i conti con un cronico gap nella capacità di spesa in Ricerca & sviluppo: l’1,38% del Pil – secondo gli ultimi dati Eurostat disponibili – contro il 2,15% medio nella Unione europea, dove solo la Germania ha per ora raggiunto l’obiettivo del 3%, individuato nell’Agenda di Lisbona. Che nella manovra 2020 siano venuti a mancare in blocco 3 miliardi per l’università – spingendo il ministro a dimettersi un minuto dopo averla firmata assieme i colleghi – può suscitare clamore, ma non è purtroppo un fulmine a ciel sereno.
Le Fondazioni di origine bancaria sono consapevoli da tempo di questa nuova emergenza italiana, cui sono chiamate a rispondere dalle normative e dai loro statuti, che fissano l’education e il sostegno allo sviluppo economico dei territori fra i grandi ambiti d’intervento istituzionale. La creazione – nell’orbita universitaria – di capitale umano utile a generare innovazione, imprenditorialità e occupazione di qualità sta quindi crescendo rapidamente fra le priorità d’agenda a fianco degli impegni divenuti tradizionali nel welfare sussidiario.
Come segnalano i rapporti annuali dell’Acri (Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa) e i singoli bilanci di missione, la larga maggioranza degli Enti ha intensificato negli ultimi anni la propria azione lungo queste direttrici strategiche, convogliando più risorse – in una congiuntura caratterizzata da nette contrazioni di bilancio – e soprattutto più attenzione nello sperimentare modelli nuovi.
È in questa logica che Fondazione Cariverona ha focalizzato il suo piano triennale 2020-22 su tre soli obiettivi strategici, due dei quali (“Ambiente e Valorizzazione dei territori” e “Capitale umano e promozione giovani”) direttamente collegati con le sfide della Ricerca & sviluppo e per questo dotati di più della metà del budget erogativo.
Voglio brevemente sottolineare – ma solo a titolo segnaletico di uno sforzo diffuso nella comunità delle Fondazioni – due piani che Cariverona ha lanciato ultimamente in partnership con due consorelle del Nordest (e la cooperazione strutturgreen e 4.0. Ciascun progetto ha messo in rete un’impresa e un’istituzione di ricerca – tipicamente universitaria – con sede in Triveneto o nelle province di Mantova e Ancona, con il coinvolgimento di un dottore di ricerca meno che quarantenne. Con Fondazione Cariparo abbiamo invece testato un bando di ricerca di eccellenza nelle Università di Verona, Padova e Politecnica delle Marche: i 28 vincitori sono stati selezionati da una giuria esterna di esperti di fama internazionale, con una particolare attenzione alle bioscienze. Entrambe le iniziative hanno poggiato su un format meritocratico e sulla scelta di finanziare per importi adeguati un numero ristretto di proposte di ricerca capaci di riversare nei territoata fra Enti di una stessa macro-area si propone come specifico momento di sviluppo istituzionale).
Assieme alla Fondazione Caritro sono stati selezionati e finanziati 17 progetti di ricerca industriale di processo e di prodotto, con particolare attenzione alla manifattura ri nuovo sviluppo reale, generato da talenti universitari e imprenditoriali cresciuti o attratti negli stessi territori.
Il dibattito sul ruolo delle Fondazioni – nei trent’anni, ormai, seguiti al varo della riforma Amato-Carli – ha affrontato via via grandi sfide: il presidio e l’accompagnamento strategico dei gruppi bancari, la più efficace sussidiarietà nel welfare, la partecipazione a grandi iniziative pubblico-private di finanza per lo sviluppo del Paese. Su tutti questi fronti singole Fondazioni, pool di Enti o l’intero sistema Acri hanno sempre retto la prova. Personalmente non ho dubbi che la famiglia delle Fondazioni saprà ora confrontarsi in modo fruttuoso con tutti gli stakeholder cui sta a cuore il grande “motore” universitario del sistema-Paese.
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