È ora di misurare la salute dell’economia in un altro modo
Il modo in cui misuriamo i fenomeni economici condiziona le nostre decisioni a livello collettivo e individuale.
di Giuseppe Arbia
4' di lettura
Il modo in cui misuriamo i fenomeni economici condiziona le nostre decisioni a livello collettivo e individuale. A livello collettivo le decisioni politiche si basano da sempre su indicatori statistico-economici, ma anche a livello individuale l’accesso ai dati statistici è oggi così semplice per tutti, che un numero crescente di individui guarda a essi per prendere decisioni empiricamente fondate e maggiormente affidabili.
Tuttavia, la realtà economica e la sua rappresentazione statistica possono differire radicalmente. In particolare, le misure tradizionali di sviluppo economico sono talvolta distanti dalla percezione di benessere che hanno di sé i singoli individui, il che può portare a una disaffezione verso le statistiche ufficiali con un impatto sul modo in cui il dibattito politico viene colto.
Parliamo, per cominciare, della principale misura utilizzata per cogliere l’andamento di un’economia: il Pil pro capite. Troviamo tale misura citata dappertutto: dai dibattiti politici; alle guide turistiche della Lonely Planet. Ebbene, in presenza di valori elevati della diseguaglianza economica, tale misura non fornisce una buona valutazione della situazione nella quale si trova la maggioranza delle persone: se la diseguaglianza cresce più del reddito, la maggior parte delle persone si può trovare peggio anche se il reddito globale cresce. È il vecchio problema del pollo di Trilussa. In un mondo distopico nel quale un unico percettore detiene tutto il reddito, il dato medio non rappresenta bene la condizione di nessuno.
Una misura più adeguata è il reddito mediano definito come il valore rispetto al quale la metà dei cittadini guadagna di più e l’altra metà guadagna di meno. Per calcolarlo occorre poter accedere al reddito individuale di tutti i cittadini, un’operazione che può essere effettuata senza violare la privacy solo dalle fonti ufficiali.
Per tale misura si dispone oggi solo di stime. Quella della Banca mondiale, ad esempio, mostra che nel 2022, il reddito medio in Italia era di 43mila euro, ma quello mediano di 40mila. Secondo la stima di Globaldata, invece, nel 2021 quest’ultimo era molto inferiore e pari a 33mila euro. La studio della dinamica di questo indicatore sarebbe estremamente utile per descrivere in maniera più accurata il benessere individuale nel nostro Paese.
La diseguaglianza dei redditi gioca un ruolo fondamentale al fine di comprendere lo stato di salute di un’economia e dei cittadini. In tale ambito, il metro più utilizzato è l’indice di Gini adottato nelle indagini ufficiali, ad esempio, dalla
Banca mondiale, dall’Ocse, da Eurostat e dall’Istat. In Italia tale indice cresce tendenzialmente fino al 2020 (ultimo anno calcolato dall’Istat) con valori più elevati di quelli della media dei Paesi della Ue.
L’indice di Gini, però, non è esente da critiche. In base a esso, l’impatto sulla diseguaglianza di un trasferimento di reddito tra due individui “ricchi” è lo stesso di quello tra due individui “poveri”. Una misura alternativa,
che pesa differentemente i trasferimenti tra individui con reddito diverso, è il rapporto tra il reddito detenuto dal 20% più ricco e il 20% più povero della popolazione. Tale indicatore, in base alle stime di Eurostat per l’Italia, è in crescita tendenziale negli ultimi anni.
Oltre all’indice di Gini,È la Banca mondiale calcola anche un indice dato dal rapporto tra il reddito detenuto dai giovani e quello detenuto dalla popolazione più anziana. Un alto valore di tale indice implica che le persone in età lavorativa devono sostenere l’invecchiamento della popolazione con conseguente stress finanziario per i lavoratori e possibili riflessi in termini politici. In Italia, nel 2019 (ultimo anno disponibile) tale indice è circa il doppio della media mondiale. Data la sua importanza, questo indicatore andrebbe calcolato con regolarità e tempestività nel nostro Paese.
In tema di diseguaglianza dei redditi va osservato anche che, come per il colesterolo, c’è una diseguaglianza “buona” e una “cattiva”. Invero, facendo riferimento alle categorie Rousseauiane, la diseguaglianza tra individui può essere dovuta a fattori naturali o sociali. Le differenze naturali tra individui (ad esempio nel loro quoziente intellettivo o nelle abilità manuali) conducono a una diversa produttività del lavoro, che si traduce in differenziali salariali e quindi in una diseguaglianza “buona”, essendo essa associata a fattori stimolanti la crescita. Al contrario, un sistema incontrollato tende a favorire rendite
di posizione e barriere all’entrata le quali
generano differenziali di reddito non dovuti a diseguaglianze naturali, le quali frenano anziché accelerare lo sviluppo. Politiche economiche
che hanno a cuore l’obiettivo della crescita dovrebbero favorire il primo tipo di diseguaglianza, attraverso l’incentivazione del merito e reprimere, invece, il secondo.
È l’idea di diseguaglianza delle opportunità. In un mio recente saggio dal titolo Income Inequality, Redistribution and Economic Growth, ho proposto di calcolare tale diseguaglianza come la correlazione tra redditi dei genitori e redditi dei figli. Mentre una certa correlazione positiva è da attendersi anche in situazioni che premiano il merito, in quanto la trasmissione intergenerazionale del reddito ha cause ereditarie che non hanno a che fare con forme di ingiustizia sociale (ad esempio, il Dna, il quoziente intellettivo etc.), una correlazione eccessivamente elevata indica assenza di
mobilità sociale e scarsa considerazione del merito con conseguenze negative sul benessere degli individui oltre che sull’intero sistema economico.
È questo un ulteriore indicatore che si potrebbe calcolare in Italia a partire dai dati relativi alle dichiarazioni dei redditi.
Quelli discussi qui sono solo alcuni dei tanti esempi di come le statistiche ufficiali potrebbero meglio rappresentare l’andamento dell’economia.
L’idea che gli attuali indicatori siano inadeguati è, in realtà, molto sentita da economisti e statistici. Interessante a riguardo è il documento stilato per Eurostat nel 2009 dagli studiosi Sen, Stiglitz e Fitoussi, il quale ha portato, a partire dal 2011, alla costruzione da parte dell’Ocse del Better Life Index.
Sono esempi virtuosi che occorrerebbe seguire anche in Italia per ridare credibilità e attrattiva alle statistiche economiche ufficiali.
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