È scontro sui musei aperti: politica, economia o diritto?
Il Dpcm ha dato il via alle riaperture, nessun diktat dal ministero. Per i direttori un dovere civico riaprire, l’efficientamento seguirà. Per Garlandini, presidente Icom, un servizio pubblico essenziale di cui non va persa memoria
di Giuditta Giardini
6' di lettura
L'articolo 1(10) lit. r del Dpcm del 14 gennaio 2021 ha disposto “l'apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura indicati all'articolo 101 del Codice dei Beni Culturali che comprende tanto i musei pubblici, statali e quelli autonomi”. È dato margine di discrezionalità alle Regioni che possono tenere conto dei protocolli o linee guida adottati anche dalla Conferenza delle Regioni e delle province autonome. Questa scelta che ha coinvolto tutto il sistema museale italiano: “è stata una scelta politica, il museo non è un volano economico” chiosa la dirigente Thalita Vassalli e i numeri degli ingressi non lasciano dubbi. “Non c'è stato nessun diktat dal ministero, ci è stato detto che se ci fossero state le condizioni avremmo potuto riaprire e tutti noi lo abbiamo sentito come un dovere” spiega Paola D'Agostino, direttrice dei Musei del Bargello e continua: “da lunedì 18 gennaio, primo giorno di apertura, abbiamo notato più movimento intorno ai musei: bar e ristoranti hanno ricominciato ad aprire, tante persone hanno ripreso a muoversi in sicurezza e senza paura”. Secondo la D'Agostino per ritornare ai numeri della fase pre-Covid si dovrà attendere almeno un anno: “non è il momento di quantificare economicamente il servizio ma di lottare” e “se Firenze non riparte dalla cultura non riuscirà mai a rialzarsi. I musei stanno facendo da battistrada”.
La prima settimana con i musei aperti
Il primo test di apertura dei musei delle regioni gialle, durante i soli giorni feriali, si è concluso con un bilancio generale positivo considerando che i soli ammessi ai musei sono i cittadini delle regioni di riferimento. A Firenze, gli Uffizi , aperti soltanto giovedì e venerdì hanno totalizzato 767 visite il primo giorno e 1.167 il secondo giorno, in tempi normali il museo ha una media giornaliera superiore ai 12.000 visitatori. Il gruppo museale del Bargello, comprensivo delle sole Cappelle Medicee e Palazzo Davanzati ,poichè Orsanmichele e Casa Martelli sono restate chiuse, ha contato l'ingresso (dal 18 al 22 gennaio) di 452 visitatori totali per il Bargello, 333 per le Cappelle Medicee e 139 per Palazzo Davanzati. In Campania, altra regione gialla, il Museo di Capodimonte ha totalizzato 863 visitatori paganti, mentre 34.852 sono state le visite gratuite al Real Bosco. Il Mart di Rovereto, in cui sono in corso le mostre: «Giovanni Boldini, Il Piacere» e «Caravaggio, Il Contemporaneo» curata dal direttore Vittorio Sgarbi, ha contato 66 visitatori il primo giorno di apertura, martedì, mentre il giorno seguente i biglietti strappati sono stati 112, il museo prevede di arrivare a 1.000 visitatori venerdì 29 gennaio.
Lo scontro
Per i più ottimisti, il “Museo Italia” (dinamico), il modello del museo diffuso, per citare il professore Antonio Paolucci, ha vinto e superato la sfida dei lockdown regionali e provinciali. “Il modello del museo-diffuso è il frutto della nostra storia – commenta il presidente di ICOM International , Alberto Garlandini –, una storia di città e di piccoli Stati che quasi ricalcano i confini delle odierne regioni. L'Italia non è mai stata uno Stato centralizzato, soprattutto, da un punto di vista culturale”. I beni culturali, come ci ricordano le “eccezioni” disseminate nei testi dei trattati internazionali, non sono beni come altri, non possono cioè essere assimilati ad una res civilistica qualunque. Il bene culturale assomma in sé più aspetti: quello privatistico, la componente pubblica che lo rende, all'occasione, notificabile, e una componente identitaria che rende l'accesso a quel bene un diritto umano inalienabile. I portavoce del Mart, degli Uffizi e di Capodimonte sono concordi nel ritenere che una fredda analisi economica costi-benefici non può essere fatta: “non si fanno per posizione”, “è troppo presto”. Sono queste ed altre le argomentazioni delle riaperture-a-tutti-i-costi, condivise dai maggiori musei nazionali, che ruotano attorno ad una concezione di arte come bisogno essenziale, vita, salute, ma anche attorno ad elargizioni pubbliche che permettono di fare ragionamenti in perdita (capitale) senza il timore di dover chiudere i battenti e svendere le collezioni come sta accadendo negli States. I direttori dei musei autonomi, del primum vivere deinde philosophari, coloro che sono preoccupati dell'eccessivo indebitamento del singolo museo e della macchina museale non esultano affatto. ll sindaco di Venezia Luigi Brugnaro ha dichiarato la sua intenzione di tenere i musei della Serenissima chiusi fino ad aprile 2021, quando il flusso di visitatori sarà in costante aumento. Questa posizione è condivisa anche dall'avvocato Antonio Tarasco, presidente della Società Italiana per l'Ingegneria Culturale.
Ripensare il museo
Secondo il presidente di ICOM International , Alberto Garlandini i musei pubblici e privati per sopravvivere dovranno ripensare il loro ruolo nella società e riassestarsi sul nuovo pubblico, quello delle comunità locali. «La sfida del Covid-19 – spiega – ha insita una grande opportunità per l'Italia, quella di rifocalizzare le risorse sulle piccole comunità. I musei cittadini, quelli dei borghi, non sono nati per attrarre turisti, ma come frutto dell'orgoglio cittadino, con la volontà di mostrare la storia della città e i suoi tesori e per costruire un futuro migliore. L'elemento essenziale è la capacità dei cittadini di riconoscersi nel proprio patrimonio identitario e, poi, riconoscersi come comunità».
Musei pubblici e privati sono soggetti a cambiamenti strutturali, le mostre devono evolvere, come saranno quelle del futuro?
La riduzione dei flussi internazionali ha messo in atto un ripensamento delle mostre, che saranno maggiormente legate alle collezioni nazionali e meno dipendenti da costosi e frequenti prestiti da musei stranieri. Quello che conterà davvero saranno le “nostre” storie e la ricerca di nuovi strumenti per veicolarle e proporle al pubblico. Le mostre concepite durante i mesi del Covid dovranno innovare le forme di narrazione mettendo al centro le persone, siamo tutti transeunti, ma la nostra storia è fatta di persone ed è questa che dovrà essere valorizzata.
Oltre allo story-telling a misura d'uomo, quale saranno le sfide dei musei?
In primis, i musei dovranno fidelizzare nuovamente il proprio pubblico e non sto parlando soltanto dei membri ICOM (molti dei quali hanno deciso di posticipare la sottoscrizione della loro membership) o degli abbonamenti ai musei, ma anche della routine, del ritrovare tempo per il museo, ri-abituarsi all'idea della fruizione culturale che è mancata in questi mesi. L'esempio che faccio sempre è quello del supermercato, se chiude per qualche settimana, la gente poi ci riandrà quando apre senza problemi, ma la stessa cosa non vale per i musei. È provato che l'interruzione prolungata del consumo culturale porti all'innesco di processi piscologici per cui i soggetti si disabituano a questo genere di attività. Anche i musei come i supermercati sono considerati dei servizi pubblici essenziali dalla normativa italiana, perché non si vive di solo pane! Però mentre tutti gli altri servizi pubblici essenziali sono aperti, molti musei sono chiusi, eppure l'esperienza culturale fa parte della vita, in alcuni momenti di difficoltà ci permette di andare avanti.
Riapertura dei musei anche nelle zone arancioni, favorevole o contrario?
Favorevole. Con l'ingresso contingentato nelle grandi sale sanificate dei musei non ci sono rischi di contagio. Non mi spiego perché i musei sono chiusi. Per esempio, il Cenacolo Vinciano a Milano, si visita in 15 persone alla volta con prenotazione. Nel refettorio di Santa Maria delle Grazie c'è un ricambio d'aria pari a quello delle sale di rianimazione degli ospedali: se dieci persone, misurata la temperatura all'ingresso con mascherina, entrano possono restare per dieci minuti senza conseguenze. Trovare posto in tempi normali è una follia considerata la grande affluenza dei turisti stranieri, oggi i milanesi potrebbero fruire di quest'opera senza file.
Invece, cosa ne pensa del recovery plan focalizzato sulla svolta digitale dei musei?
C'è bisogno di ricerca e innovazione tecnologica. Il mio timore è che oggi quando si parla di digitale e tecnologia si circoscriva il campo alla comunicazione, ma c'è molto di più. Bisogna trovare nuove forme di interazione, alternative a quelle hands-on. Servono nuove tecnologie per il controllo delle sale e dei visitatori e poi c'è bisogno di comunicatori non solo su internet, ma anche nelle sale dei musei. Il mio invito è quello di aumentare partenariati tra musei e università, ma anche con imprese private innovative del settore.
Questo ritorno alla fruizione locale potrà stimolare la filantropia italiana? C'è mai stata filantropia in Italia?
C'è stata! Perché le collezioni dei piccoli centri sono proprio il frutto della filantropia dei cittadini. La mia risposta è sì, ma a patto che vengano proposte iniziative, chiare, mirate e non troppo ambiziose. Anche il crowdfunding va fatto bene. Sono fiducioso nel sostegno finanziario comunitario (qui inteso come delle comunità e piccoli centri) e non parlo soltanto di Art Bonus , ma anche iniziative private locali.
loading...