E se avessimo tutto il tempo che vogliamo? Una riflessione sulla responsabilità delle proprie scelte
Ciò a cui diciamo di sì, ma ancor di più tutto quello che lasciamo fuori dalla nostra agenda, personale e professionale, tratteggia la nostra identità e delinea le nostre vite
di Nicola Chighine *
3' di lettura
“Ti sembra normale che quest'anno non sono riuscito a vedere gli allenamenti di basket di mio figlio, neanche una volta?”. Questa domanda mi è stata fatta recentemente, durante una sessione di coaching da un manager di un’importante società di consulenza. Di fronte a quello che suonava più come uno sfogo o un grido di aiuto, senza esitazioni avrei risposto “Ma certo che no…mi sembra eccessivo, ingiusto, tutto fuorché normale e soprattutto mi spiace per te e tuo figlio”, ma a parlare sarebbe stato il mio istinto paterno e non il coach che, soprattutto quando i temi trattati nella sessione toccano le proprie corde emotive, deve utilizzare il super potere della gestione del sé e rimanere concentrato e al servizio del coachee.
Questa domanda però, con il suo carico di frustrazione, è rimasta a lungo nella mia testa, fragorosa e rimbombante. Risuonando, qualche giorno dopo, quando in un'altra sessione di coaching, questa volta con una dirigente di una software house, mi ritrovo coprotagonista di questo scambio. Lei: “Ci sono giorni in cui sono profondamente invidiosa del mio istruttore di tennis”. Io: “Cosa ti rende invidiosa?”. “Sai - prosegue lei - lui è padrone del suo tempo, sa esattamente quando finirà la sua giornata, può decidere di non accettare una lezione se non ne ha voglia o ha altri impegni e in più, una volta a casa, non deve riaprire il pc e controllare email e messaggi”. “Io, invece, corro da una call all'altra, affogo in un mare di email e messaggi e ho l’impressione che il tempo non sia mai abbastanza”.
Due storie diverse ma con il medesimo protagonista o, per meglio dire, antagonista: il tempo. A convincermi infine a scrivere qui un mio pensiero, sul sempre verde tema della gestione del tempo, c'è l'articolo da poco pubblicato, del collega Gianluca Rizzi che, con grande sincronicità, mi ricorda che la gestione del tempo è un problema complesso e quindi non risolvibile con un approccio lineare, ingegneristico e procedurale. Con buona pace dei tanti guru del time management che hanno provato a convincerci che la soluzione sarebbe stata l’utilizzo di semplici e infallibili tecniche.
Vi ricordate la tecnica del pomodoro? Il metodo suggeriva, utilizzando un vero e proprio timer a forma di pomodoro, di alternare 25 minuti di lavoro a 5 minuti di pausa. Un piccolo palliativo alla procrastinazione seriale che non teneva conto che operazioni diverse possono richiedere sforzi cognitivi con tempi di focus e recupero altamente variabili. Oppure il famigerato metodo “Inbox Zero” prometteva che tenere vuota la casella della posta in arrivo sarebbe stato il toccasana per lo stress legato alla gestione del tempo. Peccato però che nella pratica, tranne rari casi, la casella di inbox era sostituita nella sostanza da altri folder creati ad hoc con etichette tipo “temporanea”, “da sistemare” e via dicendo.
Ma se le tecniche e i metodi non funzionano, cosa si può fare? Non credo esista una soluzione immediata e universale, sono però convinto che serva una nuova consapevolezza del tempo. Trovo illuminante, un concetto che Oliver Burkeman, nel suo celebre libro “Come fare per avere più tempo?”, spiega molto bene: la finitudine. Secondo l'autore, abbiamo tempo finito, così è, così è sempre stato e, fin dove vediamo, così sarà. Quello che decidiamo di fare, i progetti ai quali dedichiamo tempo ed energie, le persone che frequentiamo sono solo una piccolissima porzione di tutto quello che si potrebbe scegliere. Ciò a cui diciamo di sì, ma ancor di più tutto quello che lasciamo fuori dalla nostra agenda, personale e professionale, tratteggia la nostra identità e delinea le nostre vite.
Come possiamo allora lavorare sulla consapevolezza del nostro tempo? Ecco qualche riflessione:
1) Siamo noi i primi responsabili del nostro tempo, l’ultimo miglio decisionale è sempre nostro anche quando è difficile, scomodo e fa paura.
2) Piacere a tutti è una trappola. Chi ha la tendenza a mettere le esigenze degli altri davanti alle proprie deve imparare a dire di no. Oppure accettare a vivere il tempo degli altri e non il proprio.
3) La perfezione non esiste, accettalo. La ricerca della perfezione è uno dei più pericolosi time killer. Sostituire il concetto di perfezione con eccellenza è un primo passo, capire quando l’eccellenza è veramente necessaria e non solo ego riferita è il livello successivo.
4) Hackera il sistema. I sistemi tendono a conservare i propri equilibri, se ti trovi in un sistema, come ad esempio un team di lavoro, dove senti che il tuo tempo è sempre schiacciato ricordati che nessuno dall'esterno verrà a salvarti. Forzare il sistema, hackerarlo può far paura ma è l'unico modo per trovare un nuovo equilibrio più soddisfacente. Oppure, extrema ratio, cambia sistema.
* Consulente di Newton Spa
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