E se il PND fosse il primo passo verso l’Open Access?
Perché non serve una licenza per stampare un verso della Divina Commedia su una t-shirt, ma si paga per riprodurvi un'immagine della Venere del Botticelli? Il PND apre all'Open Access, ma MIC è pronto alla sfida?
di Giuditta Giardini
I punti chiave
7' di lettura
«Di chi è la Divina Commedia? Chiunque può farne libero uso per trarne profitto attraverso edizioni popolari, scolastiche o di lusso, organizzando recite o scrivendone i versi su un capo di vestiario» chiosa Daniele Manacorda al convegno Le Immagini del Patrimonio Culturale, tenutosi a Firenze l'11 giugno 2022. E ancora «Di chi è Traviata? […] Quando assistiamo a una esecuzione dell'opera, non paghiamo Verdi ma una delle infinite diverse riproposizioni messe in scena dai professionisti del teatro lirico». La durata media di un brevetto va da dieci a vent'anni, mentre il diritto d'autore ha una durata media di settanta anni, eppure le opere dell'ingegno – anche se concepite quando il diritto d'autore neppure esisteva (si pensi alla Pietà di Michelangelo) – se nel pubblico dominio e appartenenti allo Stato, non sono riproducibili senza una licenza.
Cosa significa?
Significa che il diritto reale di proprietà dello Stato su opere d'arte prevede un diritto accessorio esclusivo che vincola la riproducibilità delle immagini dall'opera derivate. Questo “diritto accessorio” è sancito dagli articoli 107 e 108 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs. 42/2004, “CBC”). Articoli che, oggi, paiono intoccabili, alla stregua di un pilastro portante del nostro ordinamento in materia di tutela di beni culturali, ma che, nella pratica quotidiana, sono piegati all'occorrenza dalla generosità dei musei. Questi ultimi infatti possono stipulare discrezionalmente accordi per esternalizzare la concessione delle licenze, concederne a canone azzerato o non richiederne affatto, liberalizzando, quindi, la circolazione delle immagini. Questa pratica attuata da pochi lungimiranti musei prevalente privati (come il Museo Egizio di Torino) è nota come Open Access, ossia l'accesso libero, senza barriere al sapere scientifico (come definito, nel 2022, dalla Budapest Open Access Initiative e più tardi dalla Berlin Declaration on open access to knowledge in the Sciences and Humanities.
C’è da chiedersi, sono davvero il 107 e il 108 CBC a costituire l'ostacolo all’adozione di licenze Open Access che diano a tutti la possibilità di riusare liberamente, per qualsiasi fine, le immagini delle collezioni museali? Quella dell’Open Access è una pratica in crescita, consolidata da oltre un decennio in molti paesi, anche europei. I musei statali italiani invece sono zavorrati delle disposizioni codicistiche che, a ben vedere, non precludono il libero riuso, ma così sono state da sempre interpretate.
L'argomentazione economica è una chimera
In fase di recepimento della Direttiva Copyright (Direttiva UE 2019/790) e del suo Articolo 14, il legislatore italiano ha preferito non intervenire sul disposto degli articoli 107 e 108 CBC. Si sono quindi mantenuti gli offendicula del diritto dei beni culturali a tutela delle riproduzioni digitali del patrimonio. Il novellato articolo 32-quater della Legge sul Diritto d'Autore fa salve “le disposizioni in materia di riproduzione dei beni culturali di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42” ossia gli stessi articoli 107 e 108 CBC. Cercare di arginare la circolazione delle immagini del patrimonio pubblico significa porsi in controtendenza rispetto un trend già avviato, specialmente a livello europeo, per tranquillizzare i conservatori che spingono per mantenere lo status quo. Non è più una questione di prendere una posizione, ma una riflessione dati alla mano: si è già dimostrato su queste pagine come gli introiti derivati dal rilascio oneroso delle licenze siano irrisori e spesso il costo-uomo o costo-donna (preposto/a al rilascio delle licenze) superi quello del canone. Ogni argomentazione contraria di natura economica manca di una visione di insieme e considera soltanto i canoni di pochi grandi musei (come, per esempio, gli Uffizi), mentre non considera la fatica che i piccoli e medi musei fanno, nonché la mancata attuazione del disposto dell'articolo 108 D.Lgs. 42/2004.
Decoro o censura?
Il citato Articolo 108 del CBC elenca una serie di parametri che “l'autorità che ha in consegna i beni” deve tenere in considerazione, tra questi il carattere delle attività cui si riferiscono le concessioni d'uso, i mezzi e le modalità di esecuzione delle riproduzioni, il tipo e il tempo di utilizzazione degli spazi e dei beni e l'uso e la destinazione e i benefici economici derivati. C'è poi chi utilizza “il carattere delle attività” per farne una questione di “decoro” nell'utilizzo delle immagini. Secondo i più conservatori, il criterio del decoro garantisce che il patrimonio identitario italiano non sia svilito se utilizzato in circostanze poco edificanti o sia associato a brand di armi o contenuti pornografici. Uno Stato che controlla la circolazione delle immagini del suo patrimonio in nome della reputazione e del decoro dello Stato stesso, in assenza di un'interpretazione autentica dell'articolo 108 CBC o giurisprudenza sul punto che interpreti questo concetto astratto a protezione di un bene giuridico immateriale, non soltanto è molto pericoloso, ma ci fa ritornare alla mente momenti poco gloriosi della storia del nostro paese. Parlare di decoro nel 2022, per arginare l'impeto di trend già in corso, come quello della liberalizzazione delle immagini, vuol dire - mi si passi l'espressione - tornare ad “imbraghettare” la Sistina. Il decoro è nemico della creatività specialmente quando viene dato in mano a sovrintendenti o funzionari ‘bacchettoni' lasciando al loro umano arbitrio determinare quando un uso di un'immagine sia decorso o meno. In nome del decoro non avremmo avuto il Giudizio Universale di Michelangelo, la Venere di Urbino di Tiziano, la Morte della Vergine di Caravaggio o la Merda d'Artista di Manzoni. Senza contare che è già libera la circolazione delle immagini per fini di libera espressione del pensiero e che quindi a nessuno è precluso, in linea di principio, rielaborare immagini del patrimonio pubblico che potrebbero “urtare” la sensibilità di qualcuno, il problema è solo quando ad urtare questa sensibilità intervenga un canale commerciale.
Il PND fa qualche passo avanti sull'Open Access
Il Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale (PND) redatto dall'Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale – Digital Library del Ministero della Cultura ha fatto qualche passo avanti che potrebbe invertire il trend interpretativo dell'articolo 108 CBC nella direzione di una maggiore libertà di riutilizzo delle immagini. Aperto alla consultazione pubblica fino al 15 giugno 2022, la bozza del PND sarà oggetto di un rapporto che verrà pubblicato sul sito entro fine giugno 2022. Il PND realizza gli obiettivi del PNRR e contiene la strategia futura per il nostro paese relativamente alle piattaforme digitali per il patrimonio culturale. Tra gli obiettivi si legge pure quello dell'attuazione di un percorso di trasformazione digitale del patrimonio e delle istituzioni culturali per renderlo maggiormente fruibile tramite l'ampliamento delle forme di accesso al patrimonio per migliorare l'inclusione culturale; l'ampliamento delle pratiche di digitalizzazione dai beni ai servizi all'utenza con processi end-to-end, in modo da monitorare i processi stessi verificando l'efficacia e l'efficienza delle singole funzioni o attività nonché dell'organizzazione nel suo complesso, ed implementare azioni di tempestiva risoluzione di problemi e di miglioramento continuo di processi; ed infine l'ampliamento delle forme di cooperazione e interdipendenza nell'ecosistema. Le linee guida per la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale contengono la principale innovazione del PND, ossia la previsione della gratuità per la pubblicazione delle immagini in qualunque sede editoriale (oltre quindi i confini dell'editoria scientifica e didattica), indipendentemente dalla tiratura del volume e/o dal prezzo di copertina. Con questa modifica si aboliscono i limiti di gratuità (70 euro e 2000 copie), alleggerendo l'amministrazione dalla gestione di onerose pratiche autorizzatorie e promuovendo in questo modo la produzione editoriale che veicola le immagini del nostro patrimonio culturale. Permangono gli obblighi di citare la fonte da cui l'immagine deriva, comunicare preventivamente l'intenzione di pubblicare e consegnare una copia dell'elaborato all'istituto che conserva il bene originale. Eppure, questo principio andrebbe rafforzato e non invece depotenziato dalla previsione, presente nelle linee guida, di “possibili eccezioni” alla gratuità che rischiano di contraddire gli obiettivi di razionalizzazione della disciplina annacquando la portata innovativa della misura. Inoltre, questa liberalizzazione parziale delle immagini di beni culturali di proprietà pubblica e nel pubblico dominio amplia, in parte, le disposizioni dell'articolo 108 del Codice, che pareva intoccabile. Infatti, a ben vedere, rendere gratuito l'uso delle immagini in qualsiasi prodotto editoriale, equivale a rendere gratuita una fattispecie di utilizzo a scopo commerciale delle immagini. Questa prassi, oltre ad essere un precedente importante per futuri riusi a scopo di lucro, legittima l’azzerabilità del canone per eventuali riusi commerciali, e quindi la possibilità di introdurre licenze Open Access, mediante le quali il direttore di un istituto culturale autorizzerebbe il riuso delle immagini in rete per qualsiasi fine.
Libero riuso arma contro il traffico illecito di opere d'arte
Al Convegno Ricerca, educazione e accesso al patrimonio culturale: un confronto tra diritti fondamentali ed eccezioni al diritto d'autore organizzato da Creative Commons e IGSG, il professore Christophe Geiger della LUISS Guido Carli ha parlato dell'importanza del diritto fondamentale alla ricerca come frontiera del diritto d'autore europeo. Il diritto alla ricerca è corollario del diritto all'informazione (Articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo), cioè il diritto di ogni cittadino a poter reperire ed utilizzare le informazioni necessarie per muoversi nella società, comprese le informazioni veicolate dalle immagini. Per questo nel 2022 è necessaria una maggiore protezione del ricercatore/user. C'è di più, tutte le opere d'arte che non siano direttamente o indirettamente visibili al pubblico, cioè che il pubblico per varie ragioni non conosce, possono essere rubate senza che nessuno se ne accorga. Nessuno si ricorderà che tale pala stava in tale chiesa se nessuno ha potuto studiarla e riprodurla in volumi e cataloghi. La circolazione delle immagini con licenze aperte permette lo studio e la pubblicazione di un maggior volume di opere d'arte, ma anche la promozione dei luoghi a scopi commerciali e turistici. Se un borgo terremotato, come Camerino, fosse pubblicizzato assieme alle sue opere di pregio (oggi conservate in un bunker) su siti di promozione turistica anche privati, questo gioverebbe alla preservazione della comune memoria. Concludendo, non ci resta che attendere il rapporto sul PND di fine giugno sperando che il legislatore non si lasci perdere questa occasione per definire il ruolo centrale dell'accesso libero alle immagini per un paese come l'Italia, ignorando tutti i vantaggi che questo comporta.
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