E se le ruote delle biciclette fossero quadrate?
di Vincenzo Barone
3' di lettura
La curiosità, il motore principale della scienza, prende forma in due tipiche domande. La prima, la più seria, è ovviamente: «Perché?». È la classica interrogazione sulle cause, sui meccanismi, sulle leggi di natura, che attraversa tutta l'impresa scientifica. Ma c'è una seconda domanda, più ludica e tuttavia non meno feconda: «Che cosa succederebbe se…?» (What if?, dicono più incisivamente gli anglosassoni). È un interrogativo che i matematici e i fisici amano porsi frequentemente: è la spinta a esplorare con la fantasia situazioni diverse, insolite, a effettuare variazioni, generalizzazioni, esperimenti mentali. Da Archimede ad Einstein, tutti i più grandi scienziati sono stati maghi del What if.
In un mondo di ruote rotonde, per esempio, la curiosità ci spinge a chiederci: potremmo pedalare su una bicicletta a ruote quadrate? La questione può apparire frivola, ma anche su un problema piccolo come questo è possibile esercitare – per di più con divertimento – il metodo scientifico. Torniamo alla domanda e ragioniamoci sopra. Possiamo muoverci su una bicicletta a ruote quadrate? D'impulso risponderemmo di no, ma solo perché diamo per scontato che ci si debba spostare su una superficie piana, come quella di una normale strada (priva di buche). Ecco subito la prima regola del ragionamento scientifico: liberarsi dai pregiudizi, non assumere niente come ovvio, immaginare alternative alle circostanze abituali. Nella situazione normale una ruota circolare si muove su un piano: una ruota quadrata non potrebbe muoversi su una superficie curva, ondulata? Per scoprirlo, bisogna modellizzare il sistema, ridurlo alle sue caratteristiche essenziali (seconda regola del ragionamento scientifico). Che cosa fa una ruota circolare ideale? Tocca con continuità il terreno in un punto, mantenendo il proprio centro alla stessa altezza (niente sobbalzi). Una ruota quadrata dovrà fare lo stesso sulla superficie ondulata. Imponendo questa condizione possiamo derivare, o indovinare per tentativi, la forma della superficie (ammesso che tale superficie esista).
Entra in gioco allora la terza regola del ragionamento scientifico (fisico, in particolare): la matematizzazione. Tutto quello che abbiamo espresso in parole va tradotto in matematica, nel linguaggio del calcolo differenziale e integrale. Il risultato è che la superficie su cui muoversi con una bicicletta a ruote quadrate esiste e il suo profilo è dato da una funzione nota come coseno iperbolico (qualcuno forse la ricorderà, presumo senza nostalgia; adesso sa a che cosa potrebbe servire – ma descrive anche la catenaria, la forma di una catena appesa alle due estremità).
Di ruote quadrate su una superficie ondulata tratta uno dei problemi della prova di matematica proposta all'esame di Stato dei licei scientifici. Non si chiedeva agli studenti di fare il ragionamento che ho appena illustrato, derivando il profilo della pedana adatta all'inconsueta bicicletta (che esiste davvero: ce n'è una al MoMath di New York); più realisticamente, si forniva fin dall'inizio la funzione matematica della pedana, chiedendo di verificare le condizioni per il movimento della bicicletta. Nulla di proibitivo e, soprattutto, una ventata d'aria fresca sulle solitamente compassate prove ministeriali. Il problema avrà certamente stimolato la curiosità di qualche studente, che magari si sarà posto domande come queste: «Potevo ricavare la forma della pedana col ragionamento? E se le ruote della mia bicicletta avessero un numero n di lati?» Quello studente ha già la stoffa dello scienziato.
vincenzo.barone@uniupo.it
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