È tempo di un Next Generation Africa
Finanziare 5 obiettivi strategici per l'Africa: indipendenza energetica, infrastrutture digitali, rafforzamento dei sistemi sanitari, transizione verde, formazione
di Fabio Masini *
2' di lettura
Da quando è emersa l'ipotesi di un'allocazione generale di Diritti Speciali di Prelievo (DSP) del Fondo Monetario Internazionale (FMI), poi concretizzatasi lo scorso 23 agosto con l'emissione di 650 miliardi di dollari in DSP (distribuiti in proporzione alle quote del capitale di ciascun paese nel FMI), si sono moltiplicate le proposte sul loro utilizzo.
Kristalina Georgieva, Managing Director del FMI, ha ripetutamente suggerito di utilizzarli per redistribuire risorse dai paesi ricchi (i 55 paesi maggiormente sviluppati hanno ricevuto il 60% delle risorse) a quelli più poveri (ai 135 meno sviluppati ne sono andate solo il 40%). In particolare, ha proposto di ricapitalizzare il Poverty Reduction and Growth Trust e creare un nuovo strumento ad-hoc, il Resilience and Sustainability Trust per agevolare la transizione verde ed il rafforzamento dei sistemi economici. Alla Georgieva si sono contrapposti coloro che spingono per utilizzare quei fondi per ridurre rapidamente il divario delle vaccinazioni, in taluni casi fermo al 2% della popolazione. O per rafforzare i safety net finanziari regionali.
Crediamo invece che l'occasione di questa eccezionale allocazione di DSP dovrebbe servire ad avviare un percorso altrettanto eccezionale: la crescita endogena del continente africano. L'Africa rappresenta un'area strategica per l'intera UE; e viceversa. In termini di sfide migratorie, dinamiche demografiche, opportunità di sviluppo, aumento della quantità e qualità del commercio, materie prime, condivisione di tecnologie e know-how.
Da qui la proposta: utilizzare una parte dei 144 miliardi di euro ricevuti dai paesi UE sotto forma di DSP (diciamo 50 miliardi) per avviare un meccanismo che, analogamente al Next Generation EU, tramite il ricorso ai mercati, finanzi 5 obiettivi strategici per l'Africa: indipendenza energetica, infrastrutture digitali, rafforzamento dei sistemi sanitari, transizione verde, formazione. La leva finanziaria potrebbe consentire di raccogliere sui mercati 250 miliardi complessivi da spendere in 10 anni, sulla base di grants (diciamo 40%) e loans (60%).
L'operazione potrebbe essere gestita dalla European Investment Bank (tramite l'African Investment Platform, insieme alla Commissione Europea attraverso lo EU External Investment Plan and Boost Africa) e/o dalla European Bank for Reconstruction and Development (già attrezzata a gestire progetti d'investimento nell'Africa del nord), una volta divenute “prescribed holders” di DSP (abilitate cioè dal FMI a detenerli e distribuirli) per la parte europea; e da African Development Bank e Fund (magari sinergicamente a qualche banca multilaterale africana, come la African Export-Import Bank) per la controparte africana.
Esistono naturalmente diverse criticità da considerare e superare: la resistenza del FMI e della BCE ad un uso dei DSP diverso da quello di moneta di riserva, i meccanismi della governance e del monitoraggio della spesa, le condizioni giuridiche per l'implementazione di un simile piano. Ma soprattutto: l'emergere di una volontà politica in tal senso.
Una volta che questa dovesse emergere, magari anche solo inizialmente tra Germania, Francia e Italia, è ragionevole immaginare che altri seguirebbero, e i problemi tecnico/giuridici potrebbero essere rapidamente risolti. Le relazioni UE-Africa, anche in vista del prossimo vertice bilaterale previsto il prossimo febbraio, potrebbero così avviarsi verso un solido, convergente e reciprocamente proficuo interesse di lungo periodo.
* Theories and History of International Political Economy Department of Political Science - University of Roma Tre
Jean Monnet Chair European Economic Governance
Managing Editor History of Economic Thought and Policy; Euractiv Italia
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