«È tornata la giusta normalità per bilanciare equity e bond»
Secondo Jumana Saleheen, chief economist e head of investment strategy di Vanguard Europe, le obbligazioni a lunga scadenza offrono buone opportunità di avere performance positive. Banche centrali, non sono all’ordine del giorno nel 2023 tagli dei tassi
di Mara Monti
3' di lettura
«Mantenere i bond in portafoglio se sono a lungo termine». A dirlo è Jumana Saleheen, chief economist e head of investment strategy di Vanguard Europe, per 20 anni economista alla Bank of England e alla Federeal Reserve of Boston e da 18 mesi alla società americana di asset management che conta asset under management per 7.700 miliardi di dollari al 31 maggio 2023.
Dunque, il “fixed income is back” abbastanza da fare felici i gestori che possono diversificare più agilmente i portafogli degli investitori. È un’asset class da mantenere in portafoglio in questo momento?
Dopo un anno da dimenticare, come è stato il 2022, quando per la prima volta dalla crisi petrolifera degli anni 70 l’equity e il fixed income hanno espresso lo stesso andamento negativo, ora si è tornati quasi alla normalità, ritrovando quella correlazione negativa tra bond ed equity che consente un bilanciamento tra le due asset class anche di fronte a uno scenario di nuovi rialzi dei tassi di interesse. Alla domanda se in questo momento i bond siano da mantenere in portafoglio, la mia risposta è sì se sono a lunga scadenza perché in questo caso ci sono buone opportunità di avere performance positive oltre ad essere uno strumento per diversificare l’investimento.
Le pressioni sul lato dell’inflazione rimangono elevate. Questo allontana la possibilità di un cambio della politica monetaria da parte delle banche centrali?
Il nostro scenario non prevede per quest’anno un taglio dei tassi di interesse da parte delle banche centrali nonostante i mercati ne stiano prezzando una riduzione negli Usa. Al contrario, ci aspettiamo per il resto dell’anno un ulteriore rialzo da parte della Fed e 1-2 rialzi da parte della Bce e della Bank of England. Il mercato del lavoro e il core inflation rimangono i driver principali su cui valutare le prossime mosse delle banche centrali.
Il prezzo dell’energia, però, sta calando e con esso l’inflazione. Perché le banche centrali si ostinano ad alzare i tassi? Non si rischia di soffocare l’economia?
I dati che preoccupano le banche centrali sono l’andamento medio dei salari (+7% anno su anno in UK e circa +5% in Europa e Usa questi ultimi in rallentamento, ndr) e l’inflazione core al netto della voce energia che rimane ancora alta. I consumi continuano ad essere elevati perché trainati ancora dall’effetto post Covid: la gente ha risparmiato durante la pandemia e ora vuole viaggiare, spendere anche se i prezzi crescono perché compensati dall’aumento dei salari. Fintanto che l’inflazione core resterà alta le banche centrali continueranno ad alzare i tassi e smetteranno solo quando ci saranno segnali di recessione che presto o tardi arriverà.
È proprio inevitabile?
Bisogna ricordare che il Pil europeo nel quarto trimestre del 2022 e nel primo trimestre del 2023 è stato negativo, di fatto già in recessione tecnica, ma nella seconda parte dell’anno migliorerà. Con l’aumento dei tassi di questo tenore, la recessione è inevitabile come una medicina difficile da digerire perché, in caso contrario, la Bce continuerà ad alzare i tassi di interesse. Del resto il presidente della Bce, Christine Lagarde, lo ha detto chiaramente di volere l’inflazione al 2%.
Secondo lei è possibile tornare ai livelli di inflazione pre-Covid?
«Credo di sì, ci sono i margini per tornare ad un’inflazione al 2 per cento. Ci vorrà tempo, non sarà quest’anno ma alla fine del 2024 sull’onda della recessione che arriverà, questo è certo.
loading...