ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùDemocrazia e poteri

È il tribalismo che indebolisce le istituzioni

l costituzionalismo democratico nasce non solo come superamento dello Stato assoluto e contrapposizione ai totalitarismi, ma ancor di più per affermare i valori dell’individuo attraverso la tutela delle libertà e dell’uguaglianza.

di Federico Maurizio d'Andrea

3' di lettura

Il costituzionalismo democratico nasce non solo come superamento dello Stato assoluto e contrapposizione ai totalitarismi, ma ancor di più per affermare i valori dell’individuo attraverso la tutela delle libertà e dell’uguaglianza. Fondamentale presupposto è l’esistenza e l’effettiva operatività del principio della divisione dei poteri che, per essere efficace, deve esplicarsi in un rigoroso rispetto delle competenze assegnate, senza – tendenzialmente – alcun superamento dei propri ambiti e delle proprie prerogative. Il rigido rispetto dei propri ambiti è, specularmente, garanzia di equilibrio istituzionale perché, è bene evidenziarlo, la coesistenza di più poteri rappresenta l’essenza dei sistemi democratici, in antitesi a ogni forma di supremazia o predominanza di un potere sull’altro. In tale contesto, il mantenimento e il rafforzamento delle istituzioni democratiche richiedono una conoscenza di ciò che accade e una (certo, faticosa) crescita culturale che, in forma intensa e per certi versi inarrestabile, coniughi la ricerca di modernità delle istituzioni con il consolidamento dei valori fondanti la comunità.

La democrazia non può mai considerarsi acquisita per sempre, né come una monade inattaccabile: da questo punto di vista, un errore che deve essere evitato è quello di non cogliere le storture del sistema – magari ritenendole inevitabili – e, non avvertendone o sottovalutandone la pericolosità, non affrontarle tempestivamente. Il pensare di continuare a “fare quel che è sempre stato fatto” immobilizza il progresso e questo, in un tempo in cui tutto accade molto velocemente, origina o, quantomeno, agevola un conservatorismo regressivo, incapace di intercettare il presente e (a maggior ragione) il futuro, e foriero di sicure arretratezze.

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Ma sarebbe parziale parlare di istituzioni senza far riferimento alle persone che le incarnano e che, con il loro operare, le rendono vive. Le istituzioni da sole, infatti, non bastano alla tenuta e allo sviluppo della democrazia, che necessitano anche dell’azione propulsiva dell’individuo: chi ne fa parte ha il compito, prioritario, di tutelarne l’autorevolezza, senza alternare la loro struttura e gli equilibri ed evitando dannose tensioni. In questo contesto emerge l’imprescindibile ruolo di coloro ai quali è affidata la funzione di garanzia e controllo e, in primis, della magistratura, la cui indipendenza continua a essere un irrinunciabile baluardo per la democrazia.

Proprio per la indispensabilità che le deve essere riconosciuta, però, la magistratura, al pari di ogni istituzione di garanzia, deve essere irreprensibile in ogni sua componente e intransigente nei confronti di chi, nel proprio interno, ne possono minare il prestigio e la credibilità.

A tal fine è necessario intervenire nei confronti di chi fuoriesca dai propri ambiti e, dimenticando o travisando il proprio ruolo, invada competenze altrui, venendo meno anche alla funzione, altamente sociale, di tutelare il rispetto della compartimentazione democratica. Stigmatizzare, con immediatezza e con ogni rigore possibile, gli eccessi significa anche sottrarre argomenti a disposizione di chi ipotizza riforme dal contenuto regressivo, che possono suggestionare l’opinione pubblica e indurla a non aver chiara contezza del significato fortemente involutivo delle riforme stesse.

E significa anche (almeno, iniziare a) mettere da parte la concezione di tribale casta che rappresenta il male profondo che affligge tante istituzioni, a cominciare proprio dalla magistratura, e per il quale non si è ancora trovata la giusta cura. Ecco perché deve essere ribadito con forza un concetto su cui poco ci si interroga e che è, viceversa, centrale: quello del dovere.

In democrazia non può esserci un “poteri” senza “responsabilità”: questo vale non solo per i singoli cittadini in relazione alla categoria dei doveri (art. 2 Cost) ma anche, a maggior ragione, per chi, istituzionalmente, è chiamato a svolgere un ruolo di garanzia per la salvaguardia dei diritti individuali e della dignità delle persone. Il pensiero profondo del dovere, se ben interpretato, può capovolgere il paradigma delle istituzioni come centri di potere e farle emergere, sempre di più, nel loro essere al servizio della collettività, di cui devono tutelare lo sviluppo e il progresso mediante la capacità di adottare provvedimenti necessari e comprensibili e ben definendo le regole del comune vivere e il loro controllo.

Da questo punto di vista, non è ipotizzabile e non è giustificabile, un ruolo di sostituzione di un potere nei confronti di un altro, per il semplice motivo che, qualora ciò fosse, si verificherebbe un non lecito allargamento del perimetro delle assegnate e riconosciute prerogative a discapito dell’armonioso atteggiarsi dei bilanciamenti che sono alla base della tenuta democratica. Istituzioni e cittadini, agendo con competenza, nei limiti delle proprie attribuzioni e con senso di responsabilità, devono lavorare insieme per il bene dell’intera comunità. Non può mai dimenticarsi che, storicamente, la molteplicità e le differenziazioni delle e tra le istituzioni hanno proprio l’obiettivo di impedire un eccessivo accumulo di potere. In democrazia, il potere non può mai prendersi cura solo del potere e di chi ne fa parte.

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