“E via... verso una nuova avventura!”. Ai grandi leader basta una frase
Molti aspetti della leadership si possono imparare, ma la vera differenza la fanno caratteristiche innate che segnano la grandezza di pochi
di Mattia Losi
5' di lettura
La frase che leggete nel titolo (“E via... verso una nuova avventura!”) è entrata a buon diritto nella storia dell’Olimpia Milano, la squadra più vincente del basket italiano. Non a caso, coincide con il titolo di un bellissimo libro scritto da Franco Casalini: che alla fine degli Anni 80 l’ha allenata, raccogliendo la pesante eredità di un grandissimo coach, Dan Peterson. E, sempre non a caso, è stata pronunciata dal più grande giocatore italiano di basket di tutti i tempi: Dino Meneghin. La ricordiamo oggi per due motivi: perché esemplifica quanto un vero leader, con una semplice battuta, possa incidere sul futuro e sul successo di un gruppo; e perché oggi, 18 gennaio, Dino compie 72 anni (anche se a lui farebbe piacere se scrivessi 58...).
Torniamo alla frase, e iniziamo a contestualizzarla. Alba del 4 dicembre 1986: sul pullman dell’Olimpia Milano, allora sponsorizzata Tracer, l’atmosfera è plumbea. La sera prima, all’esordio nel girone di semifinale di Coppa Campioni, era arrivata a sorpresa una sconfitta contro una squadra ritenuta debolissima, il Pau Orthez. I francesi giocavano in un palazzetto, non riscaldato, che era ricavato da un vecchio mercato di pollame.
Bob McAdoo, che per giocare a Milano aveva lasciato i Philadephia 76ers, rifiutato un’offerta in extremis dei Los Angeles Lakers e chiuso una carriera piena di successi nella Nba, aveva fatto l’allenamento pre-partita indossando guanti e cappellino di lana. Tutti, si pensava, avrebbero vinto facilmente a Pau: sicuramente il Real Madrid, lo Zalgiris Kaunas, il Maccabi Tel Aviv. Insomma, l’élite del basket europeo. Ma Milano aveva perso: 75 - 73, e messo una bella ipoteca sull’addio alla possibilità di arrivare in finale.
Per questo l’atmosfera era plumbea, sul pullman pronto a partire per l’aeroporto di Parigi. Come racconta Casalini, McAdoo era seduto agli ultimi posti, vicino al giovane americano Ken Barlow, probabilmente pensando di aver commesso un errore madornale lasciando l’Nba. Tutti erano in silenzio, esattamente come lo erano stati nello spogliatoio subito dopo la gara, a cena e a colazione la mattina dopo. Prima partita, fine dei giochi. O quasi.
Non appena il pullman si avvia, ecco la voce di Meneghin: “E via... verso una nuova avventura!”. Il silenzio è rotto, le risate prendono il posto dei musi lunghi. McAdoo e Barlow, ancora in difficoltà con la lingua italiana, non capiscono il motivo di tanta ilarità: ci pensa Mike D’Antoni a tradurre, e scoppiano a ridere anche loro. Pensieri di sconfitta azzerati, mente al futuro.
Che sarebbe stato meraviglioso, con la vittoria nella finale di Losanna (si, ci sono arrivati nonostante Pau): Olimpia Milano 71 - Maccabi Tel Aviv 69. Sul trono d’Europa a 21 anni dal primo trionfo. Come racconta Casalini senza quella frase di Meneghin, giusta al momento giusto, probabilmente quella finale non sarebbe nemmeno stata giocata.
Uno dei dibattiti senza risposta nel mondo del Management gira da anni intorno a una domanda: leader si nasce, o si diventa? Che poi sottintende un’altra domanda: si impara davvero a diventare leader, seguendo i molti corsi che promettono di creare i futuri numeri uno? Sicuramente si può imparare, come si può imparare a dipingere, oppure a scolpire un blocco di marmo.
Quello che segna la differenza, però, è la grandezza della dimensione acquisita. Si può imparare a dipingere, ma non a diventare Raffaello. Si può imparare a scolpire, ma non a diventare Michelangelo. Perchè l’ultimo balzo non dipende da quello che ti insegnano, ma da quello che hai dentro di te.
Dino è stato il grande leader in squadre piene di leader: ai non appassionati di basket alcuni nomi diranno magari poco, ma vi assicuro che giocare a fianco di persone come Aldo Ossola o Mike D’Antoni era di per sé stesso un master di leadership. Dino era il leader tra i leader, capace di risolvere con una sola frase il destino di una stagione.
Come dicevo all’inizio di queste righe è stato un giocatore immenso, il più grande di sempre. Insieme a questo articolo ne troverete molti altri sulle sue imprese in campo sportivo: mai nessuno, in Italia, ha vinto tanto quanto lui. Campionati, Coppe dei Campioni, Campionato europeo con la maglia azzurra. Negli Anni 90 è stato indicato come miglior giocatore europeo di tutti i tempi.
Dopo aver chiuso la carriera è stato team manager della Nazionale che ha rivinto il titolo europeo con in campo Andrea Meneghin, suo figlio, e poi presidente della Federazione Italiana Pallacanestro. Sudore, fatica, impegno, voglia di lottare fino all’ultimo secondo, di migliorare giorno dopo giorno sono stati gli elementi fondamentali della sua carriera. È stato il primo giocatore italiano scelto da una squadra Nba, alla quale ha rinunciato per poter continuare a indossare la maglia della Nazionale.
È l’unico giocatore italiano chiamato a far parte della Hall of Fame del basket di Springfield, insieme ai mostri sacri di questo sport. Ma soprattutto Dino è Dino: chiunque lo abbia conosciuto fuori dal campo (sono tra i fortunati, e ancora non ci credo) ne ha misurato la grandezza di uomo.
Osannato (da avversario...) dai tifosi israeliani, che a Tel Aviv di solito iniziano a fischiare gli avversari quando scendono dall’aereo, fu invitato a giocare in occasione della partita di addio di Miki Berkovich, il più forte cestistista israeliano di sempre. Non scendeva in campo da anni, venne accolto con tutto il pubblico in piedi ad applaudire, scatenato in un’ovazione senza fine.
Si può imparare a diventare leader, non grandi leader: la scintilla che segna la differenza non la insegna nessuno. E chi la riceve in dono deve saperla coltivare, onorare, rispettare. Coma ha fatto Dino, come fa ancora oggi portando a spasso la sua leggenda con modestia, senza farla pesare a nessuno. Ha condiviso la sua partita di addio con Mike D’Antoni: ero presente sugli spalti. Mentre li guardavo abbracciati in mezzo al campo, salutare il pubblico per un’ultima volta, mi sono scoperto con le lacrime agli occhi, fraternamente circondato da altre migliaia di persone: tutte con le lacrime agli occhi. La foto che correda queste righe non è casuale: è uno sguardo verso il futuro, la speranza che qualcuno possa raccogliere il testimone del più grande di sempre.
Quindi, caro Dino, buon compleanno: sono 72, anche se sarebbe bello averne 40 in meno. Ma in fondo, non è questo che importa. Guardiamo l’orologio del tempo sorridendo con gioia per quello che è stato, e con fiducia per quello che sarà. E via... verso una nuova avventura!
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