Eccellenze su misura per il nuovo ristorante milanese di Andrea Aprea
In Corso Venezia, a Milano, ha aperto il nuovo locale dello chef (già due stelle Michelin con il precedente Vun) che prevede un caffe-bistrot a piano terra e un ristorante al piano superiore
di Antonella Galli
3' di lettura
Il contesto è dei più signorili e distintivi di Milano: il palazzo al civico 52 di Corso Venezia, risalente al 1871, oggi sede della Fondazione Luigi Rovati e del suo Museo d’Arte. Qui ha aperto a luglio il nuovo ristorante dello chef napoletano Andrea Aprea, già due stelle Michelin con il precedente ristorante milanese Vun. Il progetto degli spazi, sia del Ristorante Andrea Aprea all’ultimo piano dell'edificio, sia del Caffè Bistrot a piano terra con dehors sul giardino interno del palazzo, è firmato dallo studio Flaviano Capriotti Architetti. Dopo un’esperienza ventennale presso ACPV Antonio Citterio & Patricia Viel, Capriotti ha intrapreso un percorso indipendente, forte delle esperienze maturate nel settore dell’hotellerie e del food&beverage, tra gli altri anche per il marchio Bulgari, per cui il progettista ha seguito con ACPV lo sviluppo degli hotel in tutto il mondo. Il sodalizio e le affinità elettive di Capriotti con lo chef Aprea risalgono al precedente ristorante Vun del Park Hyatt e si sono consolidate con questo nuovo spazio milanese, che restituisce l’allure raffinata e composta della tradizione cittadina e la peculiare sensibilità verso il design d'autore.
Il viaggio esperienziale degli ospiti del ristorante inizia sin dall’ingresso a piano terra, dove un corridoio ovattato e ornato da opere della Fondazione Rovati che richiamano il Mediterraneo e Napoli (di Mimmo Iodice e Thomas Ruff) conduce all'ascensore per il terzo piano. Una volta saliti, uno spazio di accoglienza in boiserie di noce scuro prepara l’ospite al punto di svelamento della città: alcuni passi e lo sguardo si apre su una fascia vetrata lungo tutta la parete esterna della sala, che consente di ammirare il parco di Porta Venezia, il Museo di Storia Naturale, il Planetario di Piero Portaluppi, la Torre Rasini degli architetti Ponti-Lancia e lo skyline urbano. Il percorso con vista approda poi alla sala centrale con 36 coperti: 210 mq in cui il taglio spaziale, che richiama il concetto di teatro, verte interamente sulla cucina a vista di 190 mq, come collocata su di un palcoscenico, da ammirare in sottofondo durante lo svolgersi della cena.
Le pareti e il soffitto della sala, infatti, corrono inclinati verso la vetrata a tutt’altezza della cucina, dietro cui si svolge la danza e l'opera degli chef, mentre al centro della sala un lampadario circolare in cristallo di Murano di Barovier&Toso, sempre su disegno del progettista, accentua il senso di elegante domesticità dello spazio. Nella complessiva pulizia formale dell’ambiente, in cui tutti i contenitori sono stati progettati a scomparsa e a parete, spicca il rivestimento dei setti laterali con spesse liste bombate in bucchero nero, la speciale ceramica utilizzata dagli Etruschi alla cui civiltà sarà dedicato il Museo d’Arte con una collezione di pezzi rari, in apertura presso la Fondazione Rovati nel mese di settembre. La superficie in bucchero, mossa e pastosa pur nella tinta nera, è stata realizzata da una realtà artigiana del viterbese individuata dallo stesso Capriotti, la Fornace Solum, in grado di cuocere la terracotta secondo il metodo antico, in assenza di ossigeno. La cura dei dettagli e il progetto sartoriale sono percepibili anche nelle sedute ampie e confortevoli in pelle color caramello prodotte da un’azienda friulana, la Tirolo Sedie, nella mise en place sobria e raffinata, negli arredi esclusivi, come il tavolo centrale in cristallo trasparente e i carrelli per i distillati e il caffè in noce chiaro, tutti disegnati dal progettista per il ristorante. Legni, pietre, ceramica sono la cornice pura e discreta che accoglie il rituale della cena, tra tinte neutre che fanno da quinta ai colori e ai profumi della cucina.
Anche nel Caffè Bistrot a piano terra, dall’atmosfera più informale e con vista sul giardino per tutti i posti a sedere, sono stati mantenuti i medesimi criteri di sartorialità, eccellenza di materiali, pulizia formale. Il bancone semicircolare, ad esempio, in ottone bronzato, è completato da un piano in basalto levigato grigio scuro, utilizzato anche per i tavoli e nei frammenti inclusi nel pavimento in seminato alla veneziana a cerchi concentrici, opera del vicentino Laboratorio Morseletto, una delle eccellenze italiane in questo settore. Infine, una presenza che rafforza il legame con la cultura progettuale milanese del Novecento, con cui gli spazi concepiti da Capriotti sono in dialogo costante: le sedute sono firmate da Gio Ponti e realizzate da L’Abbate, come la sedia Livia, un progetto del 1937 per la Facoltà di Lettere dell’Università di Padova. Oggi, dopo quasi un secolo, Livia si apprezza per la sua modernità assoluta e, allo stesso tempo, come ponte con il passato eccelso della Milano del design.
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