Ecco che cosa pensano manager e lavoratori dell’AI generativa
Tra ottimismo, preoccupazione e consapevolezza, l’indagine di BCG X rileva sentimenti notevolmente contrastanti in funzione del ruolo e dell’anzianità dei soggetti rispondenti e del Paese di riferimento
di Gianni Rusconi
4' di lettura
Un tema di grande trasformazione e trasversale a tutti i settori: la pubblicazione di ChatGpt ha reso l'intelligenza artificiale accessibile a tutti, democratizzando una tecnologia che dirompente lo è da anni e che fino a oggi è stata applicata in modo verticalizzato. «Gli algoritmi di AI generativa ci stanno portando un gradino avanti, verso un'adozione generalizzata e generalista di uno strumento che fa delle avanzate capacità di auto apprendimento il plus principale e che rimane un tema complesso, perché la sfida a cui siamo chiamati è quella di un'intelligenza da allenare, comprendere e gestire. Parliamo di uno spazio in rapida evoluzione, il cui impatto si sente già oggi negli ambienti lavorativi, e non è certo un caso che vi sia grande confronto all'interno delle imprese sulle modalità d'uso dell'AI, sulla natura e la struttura dei dati da elaborare e sulla qualità dei risultati prodotti dai tool generativi».
L’indagine di BCG X
Il quadro descritto da Enzo Barba, Partner di BCG X, ha fatto da prologo alla presentazione di una ricerca (“AI At Work: What People Are Saying“) che la società di consulenza americana ha condotto su circa 13mila fra leader, manager e dipendenti in 18 Paesi del mondo per capire che cosa pensano le figure aziendali dell'intelligenza artificiale di nuova generazione e del suo impatto sul lavoro. Che cosa è cambiato rispetto al 2018, quando Boston Consulting Group ha tastato per la prima volta il polso delle aziende sulle aspettative legate a questa tecnologia? Come è cambiata la percezione di addetti e management rispetto ai cambiamenti che già prometteva allora sul modo di lavorare di un'organizzazione?
A detta della ricerca, i sentimenti dei lavoratori rispetto all'avvento dell'intelligenza artificiale e della GenAI sono contrastanti e variano anche notevolmente in funzione del ruolo e dell’anzianità dei soggetti rispondenti e del Paese di riferimento. Uno dei parametri oggetto di studio è l'ottimismo verso l'impatto di queste tecnologie, che si è confermato un sentimento sempre più diffuso, crescendo di 17 punti percentuali rispetto alla precedente rilevazione e salendo complessivamente al 52% di tutti gli intervistati. L'Italia, in proposito, risulta essere il Paese europeo che professa maggiore positività circa i possibili effetti dell'AI generativa con poco meno di sei su dieci (il 58%) rispondenti tricolori che si esprimono in questo senso, mentre solo il 28% si dichiara preoccupato.
Maggiore maturità sulla tecnologia
Secondo Paola Scarpa, Managing Director and Partner di BCG X, si tratta di un indicatore che riflette un approccio all'innovazione più maturo e partecipato circa i benefici che può portare in dote la tecnologia. Al cospetto di un 39% di addetti convinto del fatto che il proprio lavoro non esisterà più in futuro a causa della diffusione dell’intelligenza artificiale (la percentuale su scala globale scende al 36%) vi è una forte consapevolezza che la propria professione debba essere oggetto di ripensamento e trasformazione (è di questa idea il 77% del campione italiano) e la convinzione che i vantaggi legati all'adozione di questa tecnologia siano superiori ai rischi (lo pensano il 78% dei lavoratori della Penisola e il 71% su scala globale).
È interessante notare come, all’interno delle organizzazioni oggetto di indagine, i leader senior siano le figure che utilizzano più spesso strumenti di AI generativa (l'80% degli intervistati di questo cluster dichiara di farlo in modo regolare sia in ambito lavorativo che personale) e di conseguenza anche meno preoccupati rispetto ai dipendenti: solo un quinto di questi ultimi è infatti abituato a operare con questi nuovi strumenti di lavoro e solo nel 42% dei casi dichiarano di essere ottimisti circa il loro impiego.
Più ottimiste le figure apicali
In generale emerge come la maggiore familiarità con gli strumenti di AI sia portatrice di maggiore fiducia e sono in particolare le figure apicali dell'azienda (nel 62% dei casi) a dichiararsi confidenti circa l’impatto di ChatGPt e simili sulle dinamiche lavorative. Il minor utilizzo dell'intelligenza artificiale generativa appare quindi come una variabile importante per determinare il “sentiment” verso queste tecnologie ed altrettanto importante, nella percezione degli intervistati, è la formazione specifica per affinare le proprie competenze. L'86% ritiene infatti necessario investire nell'upskilling e nel reskilling delle persone ma al momento solo il 14% dei dipendenti e il 44% dei manager afferma di aver già partecipato a percorsi di aggiornamento in merito.
Particolarmente sentito, infine, è il tema dell'utilizzo responsabile dell'AI, con il 79% dei lavoratori su scala globale che auspica una regolamentazione dedicata in materia (il dato sale all'83% in Italia). Anche in questo caso, le opinioni sull’efficacia di framework e programmi volti a garantire tale requisito variano notevolmente: se due leader su tre (il 68%) si dicono sicuri circa l'impiego responsabile degli algoritmi nella propria organizzazione, la percentuale di dipendenti che può confermare l'implementazione di misure adeguate nella propria azienda scende al 29%. «L’AI generativa - osserva in proposito Scarpa - ha fatto irruzione sulla scena così repentinamente che molte aziende stanno ancor recuperando il ritardo, mentre la sua applicazione responsabile dovrebbe essere una priorità per tutti i leader al fine di mitigare i rischi e di creare vantaggi competitivi per le organizzazioni. Le aziende non riusciranno a sfruttare appieno il potenziale di questa tecnologia finché i dipendenti avranno dubbi sull'utilizzo che la propria azienda fa di questi nuovi strumenti».
La necessità di sperimentare
Le sperimentazioni dell’AI nei contesti di lavoro, secondo gli esperti di Bcg, saranno dunque fondamentali per far provare loro in prima persona questi strumenti, contrastando le eventuali paure legate all’adozione degli stessi. Investire in una formazione regolare, evitando di considerare l’aggiornamento delle competenze come uno sforzo una tantum, è un altro imperativo in capo alle aziende, al pari della necessità di rassicurare la forza lavoro del fatto che il percorso di avvicinamento all’AI e alla GenAI sia affrontato in modo etico.
«La sfida a cui sono chiamate le imprese – conclude Scarpa - è soprattutto di change management, è nell'aiutare le persone a riconoscere nella tecnologia un valore per migliorare il proprio modo di lavorare. La velocità di adozione sarà figlia di quanto sarà radicata la volontà di cambiare le proprie abitudini lavorative: i leader dovranno essere più coach ed essere le vere guide per traghettare e accompagnare le persone oltre la paura del cambiamento». E la chiave per gestire gli impatti dell'intelligenza artificiale all'interno dell'organizzazione e sulle singole funzioni sarà la “lesson learned” che ogni organizzazione maturerà nella fase di sperimentazione e comprensione della tecnologia.
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