Ecco chi è Mimmo Lucano, per tutti Mimì Capatosta
Sognava di fare il calciatore. Poi il medico, ma alla fine è stato monsignor Bregantini a cambiargli la vita
di Donata Marrazzo
I punti chiave
3' di lettura
Gli amici del paese dicevano che aveva un futuro da calciatore. Giocava bene a pallone, Mimmo Lucano, nei circoli di unità proletaria. E forse era già alla sua prima incubazione politica. Una passione, quella per il calcio, che ha trasmesso anche a suo figlio Roberto, che fa l’ingegnere a Roma, ma in un campetto di periferia allena i bambini di una scuola calcio.
La gioventù di Lucano
Ha vissuto il tumulto degli anni ’70, che a Reggio Calabria e dintorni è stato, forse più che altrove, un periodo di scontri e tensioni. Ma a ispirarlo, in quegli anni, è stato soprattutto il suo insegnante di religione, don Natale Bianchi. Veniva da Varese, era un prete di strada, uno che non scendeva a patti, nemmeno con la chiesa. Combatteva soprattutto l’omertà, un atteggiamento molto diffuso in certi ambienti della Locride. Lucano ha assorbito i suoi insegnamenti.
A Torino da emigrante
L’ex sindaco di Riace avrebbe voluto fare il medico, ma poi ha incontrato Pina, la donna che sarebbe diventata sua moglie, e ha cambiato programma. Con un diploma di perito chimico si è trasferito a Torino e ha messo su famiglia. Ma poi al Nord non ha retto ed è tornato a Riace. È diventato un militante di democrazia proletaria: il suo riferimento era Peppino Impastato. Maria Luisa, la nipote del giornalista di Cinisi, ucciso dalla mafia nel ’78, gli riconosce la stessa tensione ideale, gli stessi valori di suo zio. Gli piaceva la radio, e anche la lettura. Martina, l’ultima di tre figli, che studia Filosofia a Roma, racconta che si è appassionata ai classici della letteratura e della filosofia grazie a suo padre. Insieme hanno letto “Umano troppo umano” di Nietzsche. Anche “Fontamara” di Ignazio Silone e qualcosa di Cassola.
Il naufragio di un veliero di curdi
Ed è stato, ancora una volta, l’incontro con un uomo di chiesa a cambiargli la vita: Monsignor Giancarlo Maria Bregantini, vescovo di Locri Gerace. Fu lui a chiedergli una mano quando nel 1998 sulla spiaggia di Riace naufragò un veliero carico di curdi in fuga da Turchia e Iraq. Organizzarono insieme la loro accoglienza nella Casa del Pellegrino. Quello era già l’inizio del modello Riace.
La filoxenia
Gli è venuto tutto molto naturale: Lucano, che di suo è un uomo generoso, dice che ha imparato il valore della solidarietà e della condivisione, dalle comunità bracciantili. Ma forse la sua attitudine all’ospitalità, arriva da più lontano: Riace è un pezzo di Calabria Greca, dove si praticava – e si pratica ancora - la filoxenia, una forma di accoglienza che esprime amore per il forestiero. Non è un caso, forse, che l’esperienza del Villaggio Globale si sia realizzata in quei territori.
Sindaco dal 2004
Nel 2004 Mimmo Lucano si è candidato alle elezioni comunali. Suo padre Roberto, maestro elementare, non l’ha votato. Lo riteneva troppo ribelle. Avrebbe imparato con il tempo ad apprezzare suo figlio. Negli anni è diventato il suo più grande sostenitore. È morto a 94 anni, nel 2020, e Lucano era già nell’occhio del ciclone dell’inchiesta Xenia condotta dalla procura di Locri.
Mimì Capatosta
A Riace, dove Lucano è stato sindaco fino al 2018, lo chiamano Mimì Capatosta, perché è un testardo. Anche un visionario. E di sicuro è stato un amministratore molto disorganizzato: la meticolosità della burocrazia non è il suo forte. Lo ammette pure lui che, travolto dai flussi continui di migranti, troppi, anche 600 alla volta, qualche errore amministrativo lo ha commesso. Ma alcuni li rivendica. Come il documento rilasciato a un bambino eritreo e alla sua giovane madre: senza carta di identità, il piccolo di pochi mesi, che aveva bisogno di cure mediche urgenti, non avrebbe potuto rivolgersi alla sanità pubblica.
«Rifarei tutto»
Nel 2010 è terzo nel World Mayor Project, un concorso mondiale organizzato da City Mayors Foundation che ogni due anni stila l’elenco dei migliori sindaci del mondo. Nel 2016, è risultato fra i leader più influenti del mondo nella classifica della rivista americana Fortune. Nello stesso anno Papa Francesco gli ha inviato una lettera per ringraziarlo «per il suo operato intelligente e coraggioso a favore dei nostri fratelli e sorelle rifugiati». In molti ritengono che tutta quella visibilità gli abbia nociuto. Ma il suo mantra è «rifarei tutto». Ha affrontato gli anni del processo e della condanna alternando momenti di chiusura ad altri di fiducia, supportato da una rete globale di attivisti per i diritti mani, artisti, intellettuali, politici, uomini di diritto, che non lo ha mai abbandonato. «Non mi fa paura l’entità della pena – ripeteva in ogni occasione – mi fa paura solo il tentativo di delegittimazione morale. Io quello non lo posso accettare, perché sarebbe come la morte, dentro». Oggi Mimmo Lucano è più sereno: non ha più nulla da temere.
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