Ecco come 2.600 talenti immaginano il nostro futuro: il meglio della Dutch Design Week
Con 335mila visitatori, la rassegna di Eindhoven si conferma il più importante evento nordeuropeo del settore. Quest’anno focus su otto megatrend: dalla ricerca sui biomateriali ai nuovi confini tra gli spazi fisici e quelli virtuali della tecnologia, fino alla trasformazione dei big data in forme e materiali. Ecco i progetti più interessanti
di Enrico Marro
5' di lettura
«Se non ora, quando?» e «Se non noi, chi?»: a partire dal titolo, quest’anno la Dutch Design Week - il più importante appuntamento nordeuropeo del settore - si è focalizzata sui giovani talenti ma soprattutto sull’urgenza di mostrare cosa il design può offrire al mondo di domani. A Eindhoven, capitale tecnologica olandese, sono andati in scena nove giorni densi di eventi, mostre, conferenze e dibattiti, ma soprattutto forti di oltre 2600 designer, provenienti da tutto il mondo e capaci di attrarre più di 335mila visitatori.
Disseminata in oltre cento diversi luoghi della città, la DDW quest’anno si è concentrata su otto megatrend che stanno segnando il mondo del design: dalla ricerca sui biomateriali ai nuovi confini tra gli spazi fisici e quelli virtuali della tecnologia, dalla trasformazione dei big data in forme e materiali alla potenza della collaborazione tra culture e discipline diverse. Confermando la carica innovativa e trasgressiva della rassegna olandese rispetto a vetrine più importanti ma probabilmente più centrate sul business, come quelle di Milano, Londra o Parigi.
E proprio nel nome della collaborazione quest’anno sono stati selezionati quattro speciali “ambasciatori” dell’evento: lo Studio Drift di Lonneke Gordijn e Ralph Nauta, dove l’innovazione tecnologica sposa l’analisi delle interazioni sociali; Jalila Essaidi, specializzata nello studio di materiali biologici; Alice Rawsthorn, famosa critica autrice di «Hello World: Where Design Meets Life» e Stefano Boeri, che proprio a Eindhoven sta realizzando la Trudo Vertical Forest, grattacielo di 75 metri che rappresenta una versione “social housing” del milanese Bosco Verticale, in cui la sostenibilità si sposa alla risposta al disagio abitativo.
Entrando più nello specifico dell’evento, il Growing Pavilion di Pascal Leboucq rappresenta un vero e proprio monumento alla ricerca sui biomateriali. Si tratta di un padiglione interamente realizzato con il micelio, l’organismo dei funghi che trasforma resti organici in nutrimento, leggero ma molto robusto: in pratica una struttura architettonica che rappresenta un’opera a sé stante ma anche che mostra al suo interno il meglio della ricerca sui biomateriali.
Sulla stessa lunghezza d’onda Interlink, la “casa vivente” a blocchi di Bob Hendrikx, anch’essa realizzata in micelio nel nome di un’estetica dell’abitare in un luogo che a sua volta vive, cresce e respira.
Interessanti le sperimentazioni sul tema della riappropriazione di spazi fisici in un mondo che vive il paradosso di essere iperconnesso dai social ma in modo virtuale. Come Chairwave dello Studio Vouw, intrigante sistema di sedie a scomparsa posizionate in spazi pubblici, che si abbassano e si illuminano in modo da stimolare l’interazione reale tra estranei. Ma anche come la divertente The Office Jungle di Ingmar Nieuweboer, struttura geodetica che cerca di trasformare la monotonia dell’ufficio in un momento giocoso, sensoriale e soprattutto sociale.
Come trasformare i big data che dominano le nostre vite in materiali? Sfida affascinante alla quale ha cercato di rispondere per esempio il progetto Suslib, di Amir Houieh e Martijn de Heer, esplorazione di come lo spazio fisico di una biblioteca può incoraggiare la condivisione di conoscenza virtuale. Ma anche Sound of a Smart Home, progetto di bachelor della giovanissima Eva van der Born: un oggetto in grado di “raccogliere” tutti i big data degli oggetti di una smart home che dialogano tra loro, trasformandoli in suoni sempre differenti.
Il potere della collaborazione tra culture e discipline differenti è stato invece esplorato tra gli altri da Collaboration O, collettiva di 12 tra artisti e designer, ma anche da Isola Design District, costola del Fuorisalone nata per promuovere nuovi volti del distretto milanese: a Eindhoven ha portato una mostra coi lavori di 35 designer.
Sul versante dell’inclusive design, molto interessante il progetto See-eat-through, set da tavola disegnato da Aurore Brard (designer già presente alla rassegna milanese dell’anno scorso) per chi ha enormi problemi di vista: il bicchiere, per esempio, rende visibile il livello dell’acqua versata grazie al contrasto creato dal colore del calice, mentre le impugnature delle posate ricalcano le diverse forme di cucchiai, forchette e coltelli.
La colossale ex fabbrica di prodotti caseari Campina ha invece ospitato le opere di bachelor e master della Design Academy Eindhoven, nata nel lontano 1955, celebre per il suo approccio non convenzionale e interdisciplinare. Tra gli oltre 180 lavori esposti meritano un cenno il The Mechaphony della newyorchese Colette Aliman, opera di design contestuale che esplora il rapporto tra l’uomo e il suono, ma anche il social design di Microbial Self, ingegnosa serie di maschere ideate dall'austriaca Valerie Daude per misurare la quantità di microrganismi presenti nel nostro corpo illuminandosi di conseguenza.
Da menzionare ancora l’italianissimo Pasta Shootah, divertente esercizio di design contestuale di Gianmaria della Ratta in cui stampanti 3D reinventano tra il serio e il faceto il nostro patrimonio nazionale di spaghetti, maccheroni e tagliatelle. Quanto ai lavori di bachelor, molto interessante Valuable Gesture Factory della francese Clara Le Meur: un marchingegno in tutto e per tutto simile alla linea di produzione di una fabbrica che trasforma il flusso di dati generato da un account Instagram in schede perforate, le quali a loro volta attraverso un telaio Jacquard producono tessuti dai disegni complessi ma soprattutto unici.
Sul versante mobilità urbana, Renault ha sfoderato il suo trio di concept car immaginate per il 2030: la EZ-GO, veicolo robot a guida autonoma, connesso ma soprattutto condiviso, con spazi che accolgono fino a sei persone; la versione EZ-PRO per le consegne urbane dell’ultimo miglio di pacchi e servizi; e la EZ-ULTIMO, versione deluxe della GO con salotto in marmo, legno e pelle.
L’ecosistema tecnologico olandese si è sviluppato anche grazie a università di prim’ordine , presenti alla Design Week con i lavori dei loro studenti e ricercatori. Da menzionare “Drivers of Change”, il padiglione allestito dalla TU/e, l’Università tecnologica di Eindhoven: duemila metri quadrati con il meglio dell’ateneo, dai jeans che misurano il respiro di chi li porta al letto pieno di sensori che raccoglie big data su movimenti, battito cardiaco e respiro per combattere i disturbi del sonno, passando per droni di ogni ordine e grado e maglie interattive luminose per gli allenamenti di calcio.
Strano ma vero, le tecnologie messe a punto dagli studenti della TU/e hanno conquistato un ricco medagliere sportivo, oltre che accademico. Per esempio Stella Vie, la prima auto a pannelli solari per famiglie, pochi giorni fa si è aggiudicata ancora una volta la Cruise Cup australiana nella categoria innovazione, efficienza e design. Mentre la celebre Tech United, la squadra di calciatori-robot di Eindhoven che ha sbancato le principali competizioni internazionali, in luglio a Sydney ha conquistato per la quinta volta i mondiali di calcio per robot battendo in finale per 3 a 2 un team di automi cinesi.
Per approfondire:
● Al Salone del Mobile di Milano il design italiano batte la crisi
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