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Ecco Indigo Ai. La missione? Una chatbot su misura per le imprese

di Alb.Mag.

Gianluca Maruzzella

2' di lettura

Sono nati meno di un anno fa, sul mercato sono presenti da gennaio e dichiarano contratti importanti già definiti con imprese farmaceutiche, editori ed aziende della grande distribuzione internazionale. «Siamo in fase di lancio, puntiamo a crescere ancora». Indigo Ai è una startup italiana che si occupa di chatbot, uscita solo a settembre 2016 dalla palestra dell'incubatore veneto H-Farm. Nei suoi nove mesi di vita l'azienda ha raccolto poco più di 35mila euro, ma sta già mettendo a segno ricavi e riconoscimenti. L'ultimo in ordine di tempo è la vittoria al Chatbot Challenge, una sfida organizzata dall'incubatore Digital Magics e dalla catena francese del bricolage Bricoman per far emergere le soluzioni più interessanti dal mondo dei bot. L'obiettivo di Indigo è risolvere problemi di comunicazione tra aziende e clienti, con lo sviluppo di una piattaforma di intelligenza artificiale che fa uso del machine learning (l'apprendimento delle macchine) per automatizzare il dialogo con gli utenti.

Un modello che richiama la funzione più tipica delle “app conversazionali”: dare risposte rapide e puntuali agli utenti, smaltendo le richieste che potrebbero finire per accumularsi sulle spalle dei servizi di customer care con ore o giorni di attesa prima di un riscontro. Gianluca Maruzzella, cofondatore della società, sgombra però il campo da un equivoco: la startup non «vende bot» ma elabora piattaforme di intelligenza artificiale, integrate poi a seconda delle esigenze delle imprese. «Quello che facciamo noi, come startup, è creare il motore di linguaggio che fa parlare i bot – dice Maruzzella – Applichiamo il machine learning ed “educhiamo” la macchina a capire cosa sta dicendo l'interlocutore».

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Un business in crescita, ma non proprio inedito. Giganti come Microsoft e Amazon, per citarne solo due, stanno mettendo nelle mani dei propri sviluppatori strumenti sempre più sofisticati per l'elaborazione di chatbot che assolvano a un numero crescente di funzioni (si legga l'articolo sopra). Maruzzella pensa che l'interesse sia «giustificato dai guadagni che si possono ricavare», ma vede «un problema a valle: non tanto nei gruppi corporate quanto nelle stesse startup». Il rischio è che i chatbot si trasformino, o si siano già trasformati, in un tormentone che favorisce la nascita di startup più attente al marketing che alla specificità della propria offerta tecnologica. «La sensazione è che ci siano troppe imprese che si buttano sul settore, anche se poi di innovativo emerge poco e la tecnologia resta ferma» dice Maruzzella.

Sia gruppi corporate che neoimprese come Indigo Ai, però, si scontrano con lo stesso handicap strutturale: i chatbot sono capaci di comprendere e rispondere a domande con un meccanismo empirico, ma quasi mai di generare contenuti inediti o spingersi oltre a un campionario di frasi prestabilite. Maruzzella pensa che i tempi «non siano ancora maturi» e cita casi clamorosi come quello di Tay: il bot per generare frasi su Twitter lanciato da Microsoft e ritirato nell'arco di 16 ore, dopo che gli utenti lo avevano addestrato a inneggiare a Hitler, lanciare offese o fare proposte oscene. «Ci sono degli elementi dinamici, ma al momento le aziende non vogliono prendersi la responsabilità di sperimentare – dice Maruzzella – Ma arriverà il tempo anche per questo e possono farlo proprio le startup».

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