Ecco l’Italia dei «virtuosi» e le sue ottocento reti sociali
Lo studio, realizzato dall’Osservatorio Premio Giorgio Ambrosoli e dall’Università Cattolica, documenta per la prima volta dalla prospettiva delle scienze sociali e interpreta in modo sistemico i molteplici fenomeni di buone pratiche che ci sono nel nostro Paese
di Serena Uccello
2' di lettura
La virologa Ilaria Capua e il giornalista Paolo Borrometi, il whistleblowing Andrea Franzoso e il presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, l’imprenditore calabrese Gaetano Saffiotti e l’imprenditore padovano Giuliano Bastianello. Sono alcuni dei vincitori del Premio Giorgio Ambrosoli. Figure tutte accumunate dalla capacità di compiere scelte difficili: schierarsi contro il malaffare, la corruzione, il crimine organizzato. Figure che si sono esposte ma che – ora scopriamo – non sono state isolate. A dirlo è una ricerca, realizzata dall’Osservatorio Premio Giorgio Ambrosoli in collaborazione con gli studiosi Toni Giorgi e Caterina Gozzoli dell’Università Cattolica, che traccia dell’Italia un quadro assai poco convenzionale e per certi versi spiazzante (per una volta) in positivo.
Lo studio, dal titolo «Gli italiani virtuosi» e frutto di un biennio di raccolta dati, documenta per la prima volta dalla prospettiva delle scienze sociali e interpreta in modo sistemico i molteplici fenomeni di buone pratiche che ci sono nel nostro Paese, evidenziando l’importanza dell’emersione di “micro-reti sociali” informali a supporto di chi si espone per tutelare lo stato di diritto in condizioni di difficoltà.
Le associazioni e i valori
Si tratta di una mappatura quantitativa e qualitativa. La prima rivela la grande diffusione di pratiche virtuose su tutti i territori: ne risultano 831. Ci sono associazioni in memoria delle vittime (2,6%); percorsi di cittadinanza attiva (9,9%); casi individuali (4,9%); associazioni di impresa, di categoria e sindacati (2,0%); associazioni e cooperative impegnate nella legalità, difesa dei diritti e cittadinanza attiva (31,6%); cinema (16,3%); musica (16,6%); spettacoli teatrali (6,2%); centri studi e di ricerca (7,7%); fonti di informazione (2,2%).
La seconda, qualitativa, registra una profonda e sostanziale condivisione di valori forti alla base delle concrete azioni delle figure che si attivano per la società. «Sono emerse la volontà e la speranza di rompere il sistema disfunzionale che l’illegalità produce nel territorio», si legge nello studio. Risalta l’importanza di essere parte di una rete di professionisti e della comunità in genere, perché «questo ha permesso e permette di sperimentare il supporto, la protezione e la stima necessari per proseguire».
I cittadini e la «famiglia morale»
Un altro elemento importante riguarda l’impegno nel perseguire la responsabilità civile in quanto cittadini. «Si constata, infatti, il riconoscimento delle proprie azioni come utili alla collettività e alla tutela dei cittadini e dei lavoratori». Di conseguenza «si evidenzia una concezione della politica nel suo significato più profondo e originario del termine: come sguardo al bene comune e alla collettività attraverso l’impegno e la responsabilità civile di ogni cittadino che si traduce in primo luogo nel rispetto delle leggi».
A questo proposito, di grande interesse per le scienze sociali è il ruolo positivo di tutela della legge che in molte circostanze svolgono i nuclei familiari ristretti ed allargati.
Emerge allora una valorizzazione del significato sociale positivo della famiglia, un pattern questo della “famiglia morale” che quindi si viene ad affiancare, innovativamente nell’analisi sociale, alla tradizionale tesi sul cosiddetto “familismo amorale” che caratterizza parti della società italiana.
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