Asset allocation

Ecco perché l’azionario mantiene più appeal dei bond

I tassi a zero e le prospettive di rendimento dell’equity sono ancora su livelli sostenibili secondo gli esperti nonostante il rally dei listini

di Andrea Gennai

(AP)

2' di lettura

Confrontare azioni e bond può essere pericoloso perché si tratta di due asset class con dinamiche molto diverse e scelte da investitori con diversi profili di rischio. In un processo di asset allocation totale è opportuno pesare le prospettive delle due principali macrocategorie per decidere quale strategia impostare e cosa sovrappesare. Il parere dei gestori è quello di un azionario sicuramente non economico ma ancora interessante rispetto ai bond. Non mancano i rischi ma in questo contesto di mercato chi vuol cercare valore non può escludere l’azionario.

Raffronto con lo yield obbligazionario

«Ci sono almeno tre fattori - spiega Filippo Garbarino, gestore Lemanik - che rendono l’equity più competitivo sull’obbligazionario. In primis il differenziale di rendimento tra dividend yield azionario e yield obbligazionario sul decennale. È vero che negli Usa il dividend yield è sceso sotto a quello obbligazionario ma storicamente il differenziale è stato in media dell’1,7% a favore dei bond e quindi oggi ci sono ancora 100 punti base di differenza a favore dell’equity rispetto alla media storica. Questa differenza è ancora più marcata in Europa con il rendimento dei dividendi al 2% a fronte dello zero dei bond. In secondo luogo il rendimento assoluto degli high yield sta ai minimi storici.

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Oggi il rendimento globale sta intorno al 4,2 per cento. Infine il rapporto tra prezzo e free cash flow, che negli Usa a livello di S&P 500 sta attorno a 25 volte, e’ in linea con la media storica degli ultimi 40 anni. Nel 2000 questo indicatore balzò a 60». Il free cash flow viene spesso utilizzato come indicatore per fotograre al meglio alcuni comparti, come i servizi.

Le prospettive degli utili

Il fattore degli utili resta comunque una variabile importante. «L’attuale gap nel rendimento del Cape (price earning aggiustato per il ciclo degli utili) - spiega Michele Morganti, senior equity strategist di Generali Investments - indica ancora buoni rendimenti azionari rispetto al rendimento reale dei titoli obbligazionari a 10 anni».

Seguendo lo stesso approccio si può arrivare ad analizzare gli esiti relativi all’excess Cape yield (Ecy), vale a dire il rendimento dell’azionario dal quale viene sottratto quello obbligazionario ottenendo un differenziale. «Attualmente - continua Morganti - l’Ecy è superiore quindi più attraente rispetto a quelli registrati prima della crisi del mercato nel 2000, 2008 e 2018».

Ciò vuol dire che non ci sono rischi sul mercato azionario e che tutto procede a gonfie vele? «Certamente no - aggiunge Morganti -. La ripresa economica è già iniziata da un po’ e nonostante il Pil abbia ancora margini di crescita al di sopra del potenziale, gli indicatori di fiducia potrebbero essere prossimi al picco ciclico. La Fed sta lentamente mutando la propria posizione e molto probabilmente sia lo stimolo fiscale che quello monetario hanno già conosciuto la loro massima espansione. Inoltre, l’aumento dell’inflazione e i rendimenti reali che prevediamo in salita, molto probabilmente porteranno a una certa riduzione dei price-earning. Nell’insieme, stiamo diventando più cauti e adottiamo un’allocazione settoriale più difensiva, pur mantenendo però una posizione di sovrappeso sull’equity».

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