L'AUTOBIOGRAFIA DI WOODY ALLEN

Ecco il romanzo che non è mai riuscito a scrivere

Del cortocircuito tra artista, professionista e uomo (colpito da accuse infamanti). Ovvero: ritratto dell'artista da anziano, scritto dall'artista medesimo – che sa di essere uno tra i più importanti registi contemporanei, ma lo mette in dubbio in ogni pagina con una battuta fulminante

di Giacomo Giossi

4' di lettura

Il cinema è prima di tutto immagine, ma Woody Allen senza parole non esisterebbe. Ovviamente è un'etichetta e nulla più, facilmente rimovibile di fronte alla qualità assoluta di certe sue fotografie –e non è il caso ora qui di elencare gli straordinari direttori della fotografia di cui si è avvalso negli anni, fino a Vittorio Storaro suo vero e proprio compagno di strada.

Tuttavia la prima cosa che corre subito alla mente sono proprio le sue battute, la rapida ferocia di un'ironia che tanto più oggi sarebbe necessaria e salvifica e tanto più viene moralisticamente osteggiata. E se si dovesse fare una sintesi della fortuna biografica di Woody Allen dovremmo proprio attenerci a questa regola: più una battuta sarebbe necessaria più è probabile che venga proibita. Esattamente come le cose che un tempo facevano bene alla salute, la scuola e il latte, oppure come «Non vorrei mai fare parte d'un club che accetti tra i suoi iscritti un tipo come me»; sempre Woody Allen ma via Groucho Marx.

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E si ride molto – spesso amaramente, spesso sussultando di nascosto – leggendo e sbirciando tra le pagine di A proposito di niente, l'autobiografia istericamente contestata in tempi di caccia più che alle streghe, alle prede facili (in ogni caso coraggiosa la scelta netta di Elisabetta Sgarbi di pubblicarlo grazie alla veloce ed efficace traduzione di Alberto Pezzotta). La paura principale era, nonostante Allen, proprio quella della noia perché, al di là di tutto e al di là di quanto premesso, spesso l'amato Allen regge difficilmente la durata della pagina, in cui mancano la sua fisicità e il suo sguardo che mette in mostra il mondo. E non è un caso che tra i suoi crucci ci sia proprio quello della scrittura, del romanzo che non è mai stato in grado di scrivere, dell'acrimonia (reciproca) verso Philip Roth, specchio, personaggio e, se così si può dire, per certi versi alter ego di Allen.

L'ossessione per il capolavoro è forse uno dei cardini biografici dell'autobiografia. Allen, al secolo Allan Stewart Königsberg, resta un uomo del Novecento e – nonostante la più volte ripetuta battuta di preferire di vivere nel suo appartamento che nella memoria dei suoi fans – il capolavoro è la proiezione massima per un'artista (anzi: per un autore), perché è proprio nella letteratura, nella sintesi del gesto di scrivere, che si compie al meglio l'ambizione (o spesso il delirio) di poter lasciare un segno.

Tuttavia nulla meglio di Allen incarna la figura dell'intellettuale contemporaneo o, avrebbero detto i colti di quarant'anni fa, postmoderno: colui che è capace di mischiare alto e basso quando le ideologie e i concetti stretti di militanza imperversavano e contagiavano le migliori menti. Allen a quel tempo era un battutista, nemmeno un comico, uno sceneggiatore calpestabile come nella traumatica lezione che colse dopo l'esperienza di What's New Pussycat che cambiò il suo modo di intendere il cinema radicalmente.

Da allora Allen, vivendo sulla pelle la durezza dei grandi studi cinematografici americani, decise di avvalersi dell'autorialità necessaria per proteggere la propria libertà artistica. E questa resta sicuramente una lezione valida ancora oggi per chiunque voglia intraprendere o meglio anche solo immaginarsi una carriera artistica: l'autorialità non è un vezzo, non riguarda strettamente la qualità, ma è l'argine pratico e necessario per svolgere una professione con la libertà e ovviamente anche con il carico di responsabilità conseguenti, rispetto al successo o ai fallimenti che si possono cogliere.

Questa necessità mostra però ad Allen anche una seconda faccia: nella vita privata diviene infatti l'occasione di accuse infamanti e di un cortocircuito tra artista, professionista e uomo che al di là di quello che si possa pensare o immaginare vive solo a dimostrazione di una società beghina e codina e di un uomo che mai ha immaginato sé al di là di se stesso. Non esiste distinzione tra l'artista e l'uomo, ma esiste uno spazio dato al pubblico, messo in mostra e un altro riservato e privato, fatto di scelte più o meno condivisibili ma che non fanno certo parte di uno spettacolo. Allen così si sofferma senza remore sulla propria vita, riflette e scorre via tra dolori e sensazioni di fallimenti brucianti.

In A proposito di niente propone in sostanza un'idea precisa di se stesso, una visione chiara di chi sa di essere uno tra i più importanti artisti contemporanei, ma al tempo stesso lo mette in dubbio in ogni pagina e lo fa ogni volta che una battuta fulminante apre un sorriso mostrando l'amarezza e il rimpianto di una vecchiaia più sopportata che amata.

A proposito di niente è l'autobiografia di uno dei più rilevanti interpreti del nostro tempo, un regista che ha inventato mondi prima sconosciuti, un dilettante grandioso che ha dato voce e sostanza a una sensibilità che prima viveva ai margini di una società rinchiusa nella gloria del proprio inetto professionalismo. E grazie anche a questo libro ora capiamo meglio che nel monologo sul perché vale la pena di vivere in Manhattan ora possiamo sostituire al viso di Tracy lo sguardo ironico e affettuoso di Woody sulle donne, sugli uomini e sulle nostre ridicole vite.

Bufera su Woody Allen dopo annuncio memoir

Woody Allen
A proposito di niente
La nave di Teseo 2020, 400 pagine
Traduzione di Alberto Pezzotta
Disponibile in versione cartacea dal 14 maggio (22,00 euro).
Già disponibile in ebook (15,99 euro)

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