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Covid a Bergamo, «quattromila morti evitabili». Ecco i tre filoni dell’inchiesta

Gli inquirenti approfondiscono soprattutto i ruoli di Fontana e Conte, ma anche di Brusaferro e Gallera. L’accusa di omicidio colposo

di Sara Monaci

Il procuratore capo di Bergamo Antonio Chiappani, (Ansa)

4' di lettura

Dalle indagini della procura di Bergamo emergono le prime ricostruzioni delle presunte responsabilità della mancata zona rossa in Val Seriana, della mancanza di un piano pandemico in Italia nel famigerato 2020 e della fretta di riaprire il pronto soccorso di Alzano nonostante ci fosse stato un numero alto di contagi. Per l’ex premier Giuseppe Conte e il suo ministro alla Salute Roberto Speranza, così come per il governatore lombardo Attilio Fontan a e l’assessore alla Sanità Giulio Gallera, l’accusa è di omicidio colposo.

Le responsabilità di Fontana in Val Seriana

Per quanto riguarda la mancata istituzione di una zona rossa, tra fine febbraio e inizio marzo, per la procura è soprattutto Attilio Fontana, governatore della Lombardia, ad aver frenato il processo. Con due «distinte mail del 27.2.20 e 28.2.20» chiese «al Presidente del Consiglio dei Ministri» Giuseppe Conte «il sostanziale mantenimento delle misure di contenimento già vigenti in Regione Lombardia, non segnalando alcuna criticità relativa alla diffusione del contagio nei comuni della Val Seriana», in particolare Alzano Lombardo e Nembro. Non richiese, dunque, «ulteriori e più stringenti misure di contenimento» nonostante, scrivono i pm, «avesse piena consapevolezza della circostanza che l’indicatore R0 avesse raggiunto valore pari a 2, e che nelle zone ad alta incidenza del contagio gli ospedali erano già in grave difficoltà per il numero dei casi registrati e per il numero dei contagi tra il personale sanitario».

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La contestazione per Fontana va dal 26.2.2020 sino al 3.3.2020, data in cui «nel corso della riunione del CTS Regione Lombardia per il tramite dell’Assessore al Welfare esprimeva parere favorevole all’istituzione della zona rossa». Ci fu lentezza decisionale quindi in Lombardia, si poteva già prendere una decisione sulla zona rossa a fine febbraio, e secondo i pm quella settimana fu fatale per l’aumento dei contagi.

Anche il premier Giuseppe Conte avrebbe «sottovalutato» - a partire dalla riunione del 26 febbraio 2020 - i numeri del contagio in Val Seriana. In una riunione, come in quella del giorno dopo e fino al 2 marzo, viene negata la zona rossa «nonostante l’ulteriore incremento del contagio in Regione Lombardia registrato anche in tali date (in particolare 615 casi al 29 febbraio 2020 e 984 casi all’1 marzo 2020) e comunque l’avvenuto accertamento delle condizioni che, secondo il cosiddetto piano Covid, corrispondevano allo scenario più catastrofico».

Questa scelta avrebbe causato così «la diffusione dell’epidemia da Sars-CoV-19 in Val Seriana» (oltre 4mila morti in più nella provincia). Solo il 2 marzo 2020 «il Cts evidenziava la necessità di misure limitazione ingresso e uscita oltre che distanziamento sociale nei comuni di Alzano Lombardo e Nembro», si legge nell’atto di chiusura indagine.

Andando più nel dettaglio, con un decreto del 23 febbraio 2020 era stata richiamata la legislazione sanitaria precedente, per cui nel caso di urgenza c’era la possibilità sia a livello regionale sia anche a livello locale di fare atti contingibili e urgenti in termine tecnico, cioè di chiudere determinate zone, ha spiegato il procuratore di Bergamo Antonio Chiappani. Dal punto di vista legislativo, sarebbe stato possibile intervenire quindi

Brusaferro e il piano pandemico

Il presidente dell’Istituto superiore di sanità e portavoce del Cts, Silvio Brusaferro, avrebbe proposto di «non dare attuazione al Piano pandemico, prospettando azioni alternative, così impedendo l’adozione tempestiva delle misure in esso previste». Secondo il capo della Procura il nostro problema è stato sì quello del mancato aggiornamento del piano pandemico, e questo riguardava un lato ministeriale, ma anche la mancata attuazione di quegli accorgimenti preventivi che già erano previsti nel piano antinfluenzale comunque risalente al 2006».

Anche all’ex ministro Speranza viene contestata la mancata verifica di personale e dispositivi, «inoltrando solo il 4 febbraio 2020 alle Regioni la richiesta di conteggiare le giacenze» e non avendo provveduto «al conseguente tempestivo approvvigionamento alla luce dell’insufficienza delle scorte», nonostante le raccomandazioni del piano per far fronte a una pandemia, sebbene influenzale, vigente e datato 2006. Questa accusa è mossa a Speranza, a Brusaferro, all’ex dg della prevenzione del ministero Claudio D’Amario e all’ex capo della Protezione Civile Angelo Borrelli.

Gallera e i dirigenti responsabili

Non aver verificato la disponibilità di dispositivi di protezione all’interno delle strutture ospedaliere - come indicato nelle circolari di Regione Lombardia già dal 23 gennaio 2020- , così come non aver vigilato sull’osservanza da parte degli operatori sanitari delle indicazioni impartite dal ministero della Salute a partire dal 31 gennaio 2020. Sono queste le accuse mosse principalmente all’ex assessore alla Sanità lombarda Giulio Gallera, ritenuto tra i responsabili «della diffusione dell’epidemia da Sars-Cov-19 nell’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo», dove si sono ammalati più operatori sanitari. L’assenza di mascherine e guanti, così come la mancata formazione sulle procedure di vestizione e svestizione avrebbero avuto come conseguenza la morte di alcuni medici.

L’assessorato non avrebbe adottato «le azioni per garantire trattamento e assistenza», tra cui «censire e monitorare i posti letto» di malattie infettive, «non aggiornandoli mensilmente in violazione di quanto previsto dal Piano Pandemico regionale». Inoltre il personale non era stato adeguatamente formato per la procura. Tutte queste contestazioni partono dal 5 gennaio 2020, ossia dal primo allarme lanciato dall’Oms.

Inoltre, aggiungono gli inquirenti, il Direttore generale e il Direttore sanitario dell’Asst Bergamo est, Francesco Locati e Roberto Cosentina, mentirono all’assessore Gallera e al dg Welfare, Luigi Cajazzo, sulla situazione dentro l’ospedale di Alzano Lombardo nel febbraio 2020.



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