Echi ancestrali dal cuore d’Africa tra savane, leoni e thè sull’erba
Tra Botswana e Zambia, fino al Rwanda, esperienze negli eco-camp più rispettosi dell’ambiente e degli abitanti, per viaggiatori consapevoli della loro fragile e potente bellezza
di Luca Bergamin
3' di lettura
L’esploratore e missionario scozzese David Livingstone, tra i primi ad avventurarsi in Botswana e primo uomo occidentale a scoprire le Cascate Victoria, non ebbe la possibilità (offerta invece ai viaggiatori contemporanei) di planare sopra le braccia infinite del delta del fiume Okavango a bordo di un aeroplano Cessna 172, assai simile a uno di quei grandi uccelli che abitano il secondo delta fluviale più grande del mondo. Livingstone si dovette accontentare di pagaiare a bordo del mokoro, la canoa che si manovra ancora oggi con una lunga pertica stando in equilibrio sui piedi. Eppure, le emozioni furono e sono le stesse. Chi arriva nel cuore dell’Africa può godere in pieno la bellezza di un’immersione totale tra foreste, savane e il selvaggio bush, instaurando un contatto intimo e ravvicinato con i big five (leone, elefante, bufalo, leopardo e rinoceronte), i baobab e le acacie capibanda di una flora endemica ammaliante, soggiornando in camp dallo stile “safari-chic” che sono anche progetti di avanzato design eco-compatibile.
Ci si sveglia, dunque, prestissimo al Sanctuary Chief’s Camp nella Riserva Moremi in Botswana, destati dal vocione dei bufali e dal barrito degli elefanti più mattinieri nei pavillion a mo’ di palafitte che accarezzano la palude dell’Okavango. L’alba è magica e rarefatta qui come nel resto del continente, perché musicata dal suono emesso dalla colomba in lutto (l’uccello Streptopelia decipiens) che fa tacitare il caos dei suoni tambureggianti della boscaglia. Ci si affaccia sulla terrazza dopo la doccia, accorgendosi che un elefante sta facendo la stessa cosa nella palude, come se dicesse dumela, “buongiorno” nella lingua locale. Ernest Hemingway, che non sapeva stare mai troppo a lungo lontano dalle savane, sosteneva che lì non avesse mai avuto un risveglio infelice, e che la vera magia della vita risiedesse negli incontri che si fanno durante i safari.
Un altro momento catartico si vive nel Parco Nazionale di Chobe, al tramonto, quando le iene con la loro andatura veloce e regolare fanno venire brividi alla pelle anche se si sta comodamente seduti nelle jeep, e i leopardi meravigliano con la perfezione dei loro corpi accartocciati sugli alberi in attesa di inseguire le gazzelle. Quella del bush, però, è una calma bugiarda: appare un’antilope kudu e le fiere più fameliche abbandonano con una sola mossa il torpore. Con i loro occhi infallibili i ranger indicano gli uccelli più vicini, invitando a inforcare i cannocchiali per riconoscere i volatili dalle livree più colorate - sono oltre 200 le specie che vivono lungo l’Okavango - e poi apparecchiano una sala da the tra l’erba, stendendo il plaid su cui si mangeranno scone al burro, illuminati dai fari del fuoristrada. Al buio, sul sentiero sterrato di ritorno verso il Belmond Savute Elephant Lodge progettato dallo studio Dsa (che lo ha eretto su piattaforme di legno dagli esterni che richiamano i pattern della terra africana, mentre gli interni sono arredati con oggetti di artigianato locale realizzato dalla tribù San) si ha la sensazione di essere perfettamente visti e volutamente ignorati dagli animali.
Circa 600 km più a nord, nello Zambia, il fiume Kafue serpenteggia come un mamba verde smeraldo. Adagiato sulla sua riva sorge il Musekese Camp, composto da appena cinque chalet e un loft dotato di una biblioteca ricchissima di libri dedicati ai predatori che abitano il Kafue National Park, gioiello naturalistico del Paese. La fiducia che i ranger riescono a infondere è immediata: bisognerà affidarsi alla loro saggezza e attenzione per uno dei safari trekking più selvaggi di tutto il continente. Si avanza, a un metro l’uno dall’altro, senza arretrare nemmeno a pochi metri dal leone che, del resto, sonnecchia placido, incurante dei puku, le antilopi dello Zambia, che saltellano nella prateria.
Tornare ad atmosfere che evocano i primordi del genere umano è un’esperienza che si può avere in due parchi nazionali confinanti del Rwanda, attigui alla riserva di Mgahinga, in Uganda. In quello dei Vulcani si trova l’avveniristico Ellen DeGeneres Campus of the Dian Fossey Gorilla Fund, inaugurato nel febbraio 2022: si tratta di un centro di ricerca sui gorilla finanziato dalla star della tv americana Ellen DeGeneres, che ha voluto così sostenere la ricerca della celebre primatologa morta nel 1985. La sua silhouette curvilinea è opera di Mass Design Group, e nei tour organizzati dai ranger, durante gli irti hiking sulle alture di Virunga, si può avere la fortuna di imbattersi in una femmina di gorilla, che tra i bambù porta sulle spalle il suo piccolo, così simile a un bimbo.
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