Ecolabel, la certificazione green per i fondi che in Italia potrebbe fare flop
La bozza di Bruxelles prevede le percentuali per individuare il sottostante sostenibile di azionari e obbligazionari. Ma gli effetti del bollino non saranno gli stessi per tutta Europa
di Vitaliano D'Angerio
2' di lettura
Un bollino verde per i prodotti finanziari sostenibili. È l’Ecolabel, la certificazione ecologica europea, già in vigore per settori come l’agricoltura e il tessile, potrebbe nei prossimi mesi riguardare anche fondi ed Etf. Se n’è parlato nell’incontro organizzato da Altis, la scuola di management dell’Università Cattolica, nell’ambito del Salone del Risparmio #SdR23 che si tiene in questi giorni a Milano. «L’Ecolabel è un marchio europeo che contrassegna i prodotti ecologici – ha spiegato Paola Mungo, direttrice del corso executive in finanza sostenibile di Altis, tra le relatrici dell’evento –. È una certificazione volontaria e rilasciata da enti terzi. Nella bozza della Commissione europea, è previsto che i prodotti azionari abbiano il 50% di sottostante agganciati ai criteri della tassonomia europea. Una soglia che sale al 70% per gli obbligazionari».
Problematiche
Ci sono però delle criticità all’orizzonte. Una riguarda proprio la mole di normative europee legate alla sostenibilità: è un puzzle in cui dovrebbe essere inserita anche la certificazione Ecolabel. «Uno studio Esma (l’authority di vigilanza Ue, ndr), realizzato fra oltre 3mila fondi europei articolo 8 e 9, ha fatto emergere che se venissero applicati i criteri Ecolabel, soltanto l’1% degli strumenti analizzati sarebbero allineati con tali parametri», ha evidenziato Mungo.
Ecco perché, a Bruxelles, si sta discutendo un possibile allentamento dei criteri stabiliti nella bozza. «Fra l’altro – ricorda Mungo – la bozza prevede che anche i Fia riservati (i fondi alternativi, ndr) possano chiedere il bollino green».
Numeri e certificazioni
L’Ecolabel per i prodotti green andrebbe ad affiancarsi a una serie di certificazioni, governative e di enti privati, già in vigore in Europa. «Sono circa 1.300 miliardi di euro di masse in gestione già certificati in Europa – ha ricordato Sara Lovisolo, head of Esg development di Amundi Italia –. In Francia, ben 700 miliardi hanno ricevuto il certificato green dell’ente governativo. Ma ci sono anche organismi privati, consorzi, che forniscono tali certificazioni. In alcuni casi sono scoring». E aggiunge: «Tali certificazioni vanno poi verificate nel tempo. Di solito durano in media tre anni e poi vanno rinnovate».
Lovisolo ha poi aggiunto che vi sono anche le authority di vigilanza, in Europa e negli States, che stanno elaborando delle loro etichette legate ai nomi dei fondi. «Il mondo delle certificazioni è complesso e stratificato», ha sottolineato la strategist di Amundi.
Serve il bollino green in Italia?
C’è una questione più generale di educazione finanziaria che poi riguarda l’Italia. «Il Mef – ha ricordato Mungo – ha creato un tavolo sull’educazione finanziaria sostenibile. Sono nozioni fondamentale per le future generazioni ma anche per gli investitori adulti».
Lovisolo più scettica sull’Italia. «In Gran Bretagna l’etichetta green è utile perché gli investitori britannici comprano solo prodotti finanziari e non concepiscono l’acquisto del singolo bond o della singola azione. Tutt’altro – aggiunge – accade in Italia dove i conti amministrati sono molto utilizzati e una buona fetta di investitori preferisce puntare su singoli titoli. Penso che l’introduzione di Ecolabel avrebbe minor impatto nel nostro Paese».
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