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Ecuador al voto nel terrore, hub della droga di Perù e Colombia

I candidati. Luisa Gonzalez, 46 anni, di centrosinistra, vicina all’ex presidente Rafael Correa, è favorita Jan Topic, il Bolsonaro ecuatoriano, ex tiratore scelto è l’esponente del centrodestra più accreditato

di Roberto Da Rin

In Ecuador mobilitati 100.000 agenti per le elezioni di domenica

3' di lettura

Una profezia autoavverata. Il presidente dell'Ecuador, Guillermo Lasso, aveva annunciato, tre mesi fa, la “muerte cruzada”, morte incrociata. Una forma espressiva inquietante, certo, ma soprattutto un “atto costituzionale” che prevede la fine del mandato presidenziale e lo scioglimento del Parlamento. Un quadro certamente critico, che tratteggia una grave crisi politica e una tensione sociale crescente. L’omicidio di Fernando Villavicencio, candidato presidenziale, avvenuto lo scorso 9 agosto, ha sconvolto la società, ecuatoriana e internazionale, ed esacerbato il confronto politico.

I 13 milioni di ecuatoriani vanno oggi alle urne in un clima rovente, cercando una soluzione ai problemi che attanagliano il Paese: l’escalation di violenza, la sicurezza, la lotta al narcotraffico e la povertà diffusa. Nella tornata di domenica verranno eletti, oltre al presidente e al vicepresidente, anche i 137 deputati dell’Assemblea nazionale.

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Più di 100mila agenti di diverse forze di sicurezza verranno dispiegati per garantire il corretto svolgimento delle elezioni che, va ricordato, avverranno dopo che è stato proclamato lo “stato d'emergenza”.

I nodi

L’Ecuador è approdato, senza gloria, nell’empireo nero del narcotraffico. È l’hub della distribuzione latinoamericana di droga. Il Paese si è ritagliato un ruolo importante nella geopolitica della droga, proprio perché confina con Perù e Colombia, grandi produttori. Le regioni della Colombia di Nariño e Putumayo sono quelle che producono la maggior quantità di cocaina della Colombia e confinano proprio con l’Ecuador. A ciò si aggiunge un altro fattore politico: la lotta al narcotraffico, attuata in Colombia, ha ottenuto risultati altalenanti, e la delocalizzazione del business in Ecuador è un fatto acclarato. Seppure il Paese occupi un ruolo marginale nella lista dei produttori latinoamericani, la sua rilevanza è accresciuta per ciò che riguarda le fasi di lavorazione e trasformazione del prodotto. E soprattutto vendita e spedizione.

La porosità delle frontiere ha facilitato l’ingresso di grandi quantità di stupefacenti che vengono poi commercializzate dai porti sul Pacifico. Quello principale, di Guayaquil si è trasformato in un vero e proprio hub.

Pur geograficamente distante, il Messico riveste un ruolo importante nella accelerazione del business del narcotraffico in Ecuador. I cartelli ecuatoriani, hanno siglato accordi con quelli messicani, potentissimi, di Sinaloa e Jalisco.

I recentissimi dati ufficiali forniti dalla Policía nacional del Ecuador confermano l’approdo dell’Ecuador nel novero dei Paesi violenti. Nel 2021 il tasso di omicidi era pari a 13 ogni 100mila abitanti, e quest'anno pare schizzato a quota 40.

Ecuador verso il voto tra le violenze

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I candidati

È Luisa Gonzalez la favorita alle elezioni presidenziali dell’Ecuador: 46 anni, è stata eletta nel 2021all'Assemblea nazionale, il Parlamento unicamerale. Favorita sì, anche se non sono disponibili gli ultimi sondaggi, proibiti dalla legge ecuatoriana dal 10 agosto. Gonzalez è politicamente vicina, oltre ché sostenuta dall’ex presidente Rafael Correa. Gonzalez appartiene al partito di centro sinistra denominato Revolucion ciudadana. Il dossier più urgente da affrontare è quello economico-finanziario. Per questo, il candidato vicepresidente, in ticket con lei, è Andres Arauz, economista di formazione, già ministro della Conoscenza e del talento umano dal 2015 al 2017.

Gonzales ha dichiarato a Reuters che utilizzerà 2,5 miliardi di dollari «per tamponare le emergenze sociali del Paese», fondi che attingerà dalle riserve della Banca centrale.

I candidati del centrodestra sono tre: il più accreditato è Jan Topic, ex tiratore scelto e legione straniera francese, soprannominato “Rambo” e definito anche “il Bolsonaro ecuatoriano, seguito da Otto Sonnerholzner e Daniel Noboa. Tra coloro che corrono per la presidenza vi è anche Cristian Zureta, alfiere dell’anticorruzione, erede politico del candidato ucciso, Fernando Villavicencio. Infine l’indigenista Yaku Perez, espressione dei movimenti di tutela ambientale e per la sostenibilità, in difesa dell’Amazzonia.

Il referendum

Gli elettori ecuatoriani si esprimono oggi anche su due referendum di politica ambientali. Sono molte le compagnie energetiche internazionali presenti in Ecuador, tra queste l’Eni. Il primo concerne lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi all’interno del Parco Nazionale Yasuni, nell’Amazzonia ecuadoriana. Il secondo l’estrazione nelle miniere d’oro nelle foreste del Choco Andino, in prossimità della capitale, Quito. Le consultazioni sono state concesse dalla Corte Costituzionale, contro il parere del governo. Dichiarato riserva della biosfera dall’Unesco nel 1989, il Parco Nazionale Yasuni e il vicino Territorio ancestrale Waorani costituiscono una delle aree con la maggiore biodiversità al mondo. Ma nel 2016, per i 4.800 indigeni che abitano il polmone verde, l’avvio delle trivellazioni nell’ambito del progetto Ishpingo, Tambococha e Tiputini (Itt), noto anche come Blocco 43, si è trasformata in una guerra per la sopravvivenza. « È più difficile mantenere l’equilibrio della libertà che sopportare il peso della tirannia», scrisse il generale Simon Bolivar nei primissimi anni del 1800.

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