Edificio con barriere? Così il risarcimento al disabile discriminato
Deve risarcire anche l’amministratore, ma non l’ente locale, condannato sia in primo sia in secondo per aver dato apparente legittimità alle violazioni
di Patrizia Maciocchi
I punti chiave
2' di lettura
La società costruttrice e l’amministratore che non si attiva per far rimuovere le barriere architettoniche devono risarcire il disabile per la discriminazione indiretta messa in atto nei suoi confronti. Nulla è invece dovuto dal comune che, sullo stesso edificio non in linea con la legge, concede una sanatoria e un permesso di agibilità, quest’ultimo poi annullato dal Tar.
La Cassazione ha accolto il ricorso dell’ente locale, che era stato condannato sia in primo sia in secondo a risarcire per il danno morale ed esistenziale un uomo, con il 100% di invalidità e indennità di accompagnamento, per i disagi che aveva dovuto sopportare a causa della violazione del suo diritto a partecipare pienamente a tutti gli ambiti della vita, come previsto dalle norme interne a sovranazionali.
Una libertà fondamentale limitata per anni, dalla presenza di barriere architettoniche nel palazzo in cui abitava stabilmente a casa della sorella, all’interno di un residence privato.
L’apparente legittimità derivata dagli atti comunali
Il Tribunale come la Corte d’Appello, avevano affermato la corresponsabilità del comune nella discriminazione indiretta, perché con il rilascio della sanatoria e con il permesso di agibilità aveva dato «una veste di apparente legittimità alla condotta omissiva illecita posta in essere dalla società, favorendone la mancata cessazione e consentendo la protrazione dei suoi effetti lesivi».
Per la Suprema corte però questo non basta per affermare la discriminazione commessa prima dalla Srl e poi dall’amministratore che era venuto meno al suo dovere. Non spettava, infatti, al Comune rimuovere gli ostacoli né, l’aver concesso la sanatoria regalando così un’apparente legittimità, impediva ai diretti interessati di esigere il rispetto della legge. Per i giudici manca il nesso tra i pregiudizi sofferti dal disabile e il comportamento dell’ente locale.
Mentre è chiara la responsabilità dei soci della disciolta società edile che avevano costruito un palazzo con barriere mettendo nero su bianco l’impegno, non onorato, ad eliminarle. Certo per la Corte di merito la sanatoria del Comune non era un incentivo a farlo.
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