Editoria, Renzi non è il primo: da Veltroni a Mattarella i direttori-politici di giornale
L’ex premier guiderà il Riformista: nella prima Repubblica i direttori delle testate politiche (dalla Dc al Pci) erano scelti tra i parlamentari
di Riccardo Ferrazza
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Come Walter Veltroni e Sergio Mattarella. Con l’annuncio della direzione del Riformista Matteo Renzi ha subito chiarito che il suo nuovo impegno si andrà a sommare a quello di senatore della Repubblica. «Tanti parlamentari hanno fatto i direttori» ha ricordato l’ex presidente del Consiglio. Come a sottolineare che non c’è incompatibilità tra i due incarichi. E se la doppia giacca è stata indossata dall’ex leader del Pd (all’Unità) e dall’attuale presidente della Repubblica (al Popolo) - sembra ribattere il senatore toscano ai suoi critici e avversari -, perché lui non può fare lo stesso?
L’Unità, da Ingrao a Veltroni
I paragoni sono sempre complicati, soprattutto quando sono fatti per ricollegare epoche diverse, come si presentano indubbiamente la fase attuale e un passato già molto lontano della Repubblica quando c’erano i partiti tradizionali e le loro testate giornalistiche. È vero però che per il caso dell’“Unità” (per anni organo del Pci) la figura di direttore-parlamentare è una tradizione durata quasi mezzo secolo: si apre con Pietro Ingrao che aveva lavorato nella redazione dell’Unità clandestina di Milano nel 1943 per poi assumerne la direzione nel 1947 da Roma, un anno prima di diventare deputato. Restò direttore per un decennio, deputato per 45. Da direttore visse «l’errore più grave» della sua vita politica, raccontò anni dopo nella sua autobiografia “Volevo la luna” (Einuadi). «Scrissi un editoriale per l’Unità che condannava la rivolta ungherese»: sconvolto e amareggiato, alla notizia dei carri armati, Ingrao passeggiò per ore per Roma, fino a raggiungere casa di Palmiro Togliatti a cui comunicò lo sgomento. «Togliatti - ricorda - mi rispose asciuttamente: “Oggi io invece ho bevuto un bicchiere di vino in più”».
Tra Ingrao e Veltroni ci saranno ben 12 direttori, tutti dirigenti e parlamentari del Pci (poi Pds), tra cui Alfredo Reichlin, Giancarlo Pajetta, Massimo D’Alema (che con i giornalisti non ha avuto un rapporto facile). Il caso citato da Renzi, quello di Veltroni, è però il più anomalo: perché l’ex ministro, ex sindaco di Roma ed ex segretario del Pd, trasformò il quotidiano fondato da Antonio Gramsci portandolo in lidi politici lontani dalla politica in senso stretto. Seguendo in questo le sue moltiplici attitudini (oggi Veltroni è soprattutto regista e scrittore) inaugurò la stagione dei supplementi a pagamento con videocassette e libri (ma anche album di figurine).
Renzi ha fatto sapere che per il Riformista «ci sarà un direttore, lo annunceremo a breve, perché non ho il tesserino». Veltroni, invece, è iscritto all’albo dei giornalisti professionisti dal 1983.
Il Popolo diretto da Mattarella
Anche la Democrazia cristiana aveva le sue testate giornalistiche: il Popolo e la Discussione. Il primo era un quotidiano voluto da Luigi Sturzo che cominciò le sue pubblicazioni nel 1932. Il secondo venne fondato nel 1952 da Alcide De Gasperi. Ma Sergio Mattarella arriva alla direzione del Popolo quando la storia della Dc sta per finire: è il 1992 quando per la guida del quotidiano il neosegretario Mino Martinazzoli sceglie Mattarella che, assumendo la direzione, come ricorda Pio Cerocchi che del quotidiano divenne direttore responsabile, disse che «non avrebbe giocato a fare il giornalista», anche se gli piaceva partecipare alla vita del giornale. Il primo editoriale è del 3 novembre 1992. «C’è un terreno che i partiti, che pure devono ritirarsi da molti spazi impropriamente occupati, non possono permettersi di abbandonare: il terreno della politica» scrive il neodirettore presentandosi ai suoi lettori. Seguì un biennio che sconvolse la politica e travolse per prima la stessa Dc. Nell’estate del 1994 Mattarella rassegna le sue dimissioni da direttore politico con una lettera al neo segretario del Ppi Rocco Buttiglione che, nella diaspora dello scudocrociato, avrebbe deciso di collocarsi nel centrodestra a guida Silvio Berlusconi.
Il paragone con Mussolini
Quando si parla di politica e giornalismo è inevitabile pensare al caso di Benito Mussolini: da questo punto di vista il fondatore del fascismo fu indubbiamente uno dei protagonisti del giornalismo italiano nei primi vent’anni del ’900. «Lascia un’impronta non effimera nel corso di un’intera stagione del giornalismo italiano, avanti e dopo la Prima guerra mondiale» si legge nei Meridiani Mondadori (volume secondo dedicato al giornalismo italiano degli anni 1901-1939). Poi però i confronti finiscono qui. E non solo perché Mussolini lasciò la direzione del “Popolo d’Italia” subito dopo la Marcia su Roma e la presa del potere. Ma soprattutto perché, come ha ricordato lo scrittore Antonio Scurati, autore della trilogia mussoliniana “M” (Bompiani), nell’Italia dominata dal regime fascista «rimase un solo giornalista libero», ovvero «il signor Benito Mussolini».
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