Effetto cantiere sul terzo settore
di Elio Silva
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La nuova disciplina del terzo settore, benché abbia visto la luce dopo oltre tre anni di confronto dentro e fuori dalle aule parlamentari, fa discutere come e più di prima. Da quando, a inizio agosto, sono entrati in vigore gli ultimi decreti attuativi della legge delega 106/16, reazioni e valutazioni degli addetti ai lavori hanno sistematicamente oscillato tra la soddisfazione per un insieme di provvedimenti che restituiscono un’identità precisa al non profit e la preoccupazione per le incognite, le complicazioni e i “buchi” normativi.
Per inquadrare correttamente il dibattito in corso vanno tenute presenti almeno due condizioni specifiche di questa riforma.
La prima è che la galassia degli enti senza fini di lucro contiene al proprio interno sistemi molto diversi sotto ogni punto di vista, per cui l’obiettivo di costruire una cornice univoca, in particolare con il Codice del Terzo settore, appariva ed è tanto ambizioso quanto arduo. La seconda è che, anche dopo l’entrata in vigore dei decreti di mezza estate, la concreta attuazione delle disposizioni resta appesa alla futura emanazione di ben 42 provvedimenti regolamentari, per cui i giudizi risentono delle conseguenti cautele.
Si aggiunga che, in qualche passaggio, la distrazione del legislatore ha creato gravi effetti indesiderati, come nel caso della disciplina delle erogazioni liberali, che ha visto l’abrogazione delle agevolazioni note come “più dai, meno versi” prima che scattino le nuove regole sulle donazioni, per cui almeno 50mila organizzazioni guardano con legittima preoccupazione alle campagne di raccolta fondi dei prossimi mesi, tradizionalmente le più importanti dell’anno.
Questo insieme di fattori ha creato un prolungato “effetto cantiere” che spiega, almeno in parte, i toni e il clima del confronto all’interno del non profit.
In linea generale la valutazione è positiva. Per Claudia Fiaschi, portavoce nazionale del Forum del Terzo settore, «aver dato una definizione specifica e univoca è uno dei risultati più importanti del processo di riforma, che aspettavamo da oltre vent’anni». Ovviamente «la sfida dei prossimi mesi sarà l’armonizzazione delle norme nei decreti, per superare pienamente le diverse discipline esistenti». Va ricordato infatti che, attraverso il Codice, si è puntato al coordinamento civilistico delle disposizioni che regolano la vita associativa, ma questo obiettivo, osserva la Fiaschi, «non si è realizzato per almeno dieci categorie, tra cui le associazioni dei consumatori, la cooperazione allo sviluppo e gli enti sportivi dilettantistici, per i quali continuano a rimanere in vigore norme speciali. Dopo molte insistenze, il legislatore è intervenuto stabilendo che le disposizioni del Codice si applicano anche alle categorie di enti del Terzo settore che hanno una disciplina particolare “ove non derogate e in quanto compatibili”. Una specificazione utile,ma che non colma gli spazi d’incertezza».
Anche per quanto riguarda il segmento dell’impresa sociale la valutazione d’insieme è positiva, ma con qualche distinguo. Secondo Maurizio Gardini, presidente dell’Alleanza cooperative italiane, «la riforma rappresenta un’opportunità di sviluppo e di regolamentazione di un comparto fondamentale negli assetti sociali ed economici del Paese che sarà. Ci sono, tuttavia, aspetti che attendono di essere limati attraverso l’attuazione dei decreti. Per esempio, riteniamo necessario vigilare perché non accada che, attratti da condizioni di favore e da nuove possibilità di crescita, alcuni si travestano da imprenditori sociali senza averne le caratteristiche più autentiche. Questo significa calibrare bene il taglio della revisione relativa alla qualifica di impresa sociale, monitorando il reale coinvolgimento dei lavoratori e l’utilizzo effettivo dei volontari».
A proposito di volontariato, anche l’associazionismo ha i suoi specifici “temi caldi”. Il più dibattuto risulta l’articolo del nuovo Codice che consente di liquidare ai volontari le piccole spese sostenute, fino a 10 euro al giorno per un massimo di 150 euro mensili, senza obbligo di allegare i giustificativi, ma presentando un’autocertificazione. La disposizione era già stata lungamente discussa nel corso dell’iter della riforma ed è stata, poi, approvata come atto di semplificazione della gestione associativa, ma la questione continua a tenere banco.
Il presidente del Csvnet, coordinamento nazionale dei Centri di servizio, Stefano Tabò, prova a spegnere la polemica ricordando che «la pratica dell’autocertificazione e lo stesso rimborso spese non sono obbligatori e, pur se previsti, non creano alcun diritto per i volontari. L’importante è che non si parta da una posizione di sfiducia nei confronti di chi utilizzerà il meccanismo: sappiamo bene che nei rimborsi spese uno spazio grigio può esistere, ma proprio per questo vigileremo». L’obiettivo diventa così quello di «pervenire alla redazione di linee guida generali, definite anche sulla base delle esperienze virtuose maturate in questi anni, con la collaborazione di tutto l’associazionismo».
ext.elio.silva@ilsole24ore.com
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