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Effetto guerra e rincari, l’industria alimentare ritorna all’olio di palma

Secondo le previsioni dell’Unione italiana olio di palma sostenibile, a partire dal 2023 il suo impiego crescerà del 20 per cento

di Micaela Cappellini

Olio di Palma Sostenibile, la risposta alle fake news

3' di lettura

La guerra in Ucraina e la carenza di materie prime stanno riportando in auge l’olio di palma tra le aziende dell’industria alimentare italiana. Tanto che entro l’inizio dell’anno prossimo, secondo le previsioni dell’Unione italiana olio di palma sostenibile, il suo impiego crescerà del 20 per cento. Una bella rivoluzione, da quando sette anni fa cominciarono le campagne contro il suo utilizzo, da alcuni considerato il principale responsabile della deforestazione del Borneo e di altre aree vergini del pianeta. Da allora, il consumo di olio di palma in Italia era calato del 33% - 200mila tonnellate in meno all’anno - sostituito dall’utilizzo di olii di semi come quello di colza, di soia e di girasole.

Ora però è arrivata la guerra, a scompaginare di nuovo le carte. Con il 60% della produzione e il 75% dell’export, Kiev è infatti il principale coltivatore di girasoli al mondo. L’industria italiana di spremitura, invece, produce solo 250mila tonnellate di olio grezzo. Così, il nostro Paese dipende dall’Ucraina per oltre il 60% delle importazioni: ferme quelle per colpa del conflitto, le imprese alimentari devono necessariamente correre ai ripari.

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Reperibilità e adattabilità

Tra tutti i sostituti possibili, l’olio di palma offre alcuni vantaggi: «Intanto ha un gusto neutro, che ben si adatta alle produzioni dolci - spiega Mauro Fontana, presidente dell’Unione italiana olio di palma sostenibile - poi, rispetto a quello di colza, è più facile da reperire: i francesi sono grandi produttori di colza ma se la tengono quasi tutta per sè mentre il Canada, che è il più grande esportatore mondiale, ha avuto una stagione pessima e ne ha prodotto molto meno. Quanto all’olio di soia, invece, la maggior parte arriva da Sudamerica ed è Ogm».

Di fronte a questo cambio così repentino dello scenario degli approvvigionamenti mondiali di grassi vegetali, le prime imprese italiano hanno già cominciato a fare i primi ordini di olio di palma: «Come Unione italiana dell’olio di palma sostenibile - racconta Fontana - abbiamo appena partecipato a Marca, la fiera del private label, dove abbiamo ricevuto parecchie richieste di informazioni. Abbiamo anche segnali di passaggi già avvenuti: il mondo della frittura è stato il primo a guardare all’olio di palma, sia tra i produttori industriali di fritti sia tra le catene di fast food. Io mi aspetto che, nei prossimi mesi, vada a scemare l’appeal dello slogan “senza olio di palma” e che molte aziende, sia piccole che grandi, ritornino parzialmente sui loro passi, affiancando alle linee di prodotti “senza” altre che nuovamente utilizzano questo tipo di olio».

Prezzi competitivi

Difficile, del resto, capire quanto durerà davvero questa emergenza: «L’Ucraina alla fine sembra che qualcosa riuscirà a seminare anche quest’anno, soprattutto nelle aree nord-occidentali - dice Fontana - ma non è detto che sarà tutto girasole, quello che pianteranno. E questo significa che la carenza di olio si farà sentire anche l’anno prossimo. In compenso, la produzione argentina sembra destinata ad aumentare, ma gli effetti non si vedranno prima di febbraio».

Rispetto ad altri grassi vegetali utilizzabili dall’industria, l’olio di palma in questo momento ha anche un altro vantaggio, quello del prezzo competitivo: «È vero che un cambiamento così repentino della domanda indotto dalla crisi ucraina ne ha fatto aumentare le quotazioni - dice Fontana - ma resta comunque più economico, in media, del 20-30% rispetto a quello di girasole».

LE ALTERNATIVE ALL’OLIO DI GIRASOLE
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Prodotto sostenibile

Il 95% dell’olio di palma utilizzato dall’Italia è certificato come sostenibile: «Siamo una best practice mondiale - dice Fontana - quello che arriva nel nostro Paese proviene soprattutto da Malaysia e Indonesia, anche se c’è una quota importante di prodotto sudamericano». Tra tutte le produzioni di grassi vegetali destinati all’alimentazione, il palma rappresenta una fetta del 35%, eppure impiega solo il 10% di tutti i terreni utilizzati per coltivare olii: «Le proiezioni della Fao - ricorda Fontana - dicono che entro il 2050, per garantire sufficiente cibo per tutta la popolazione mondiale, la produzione di olii dovrà incrementare dell’85%, passando da 165 a 307 milioni di tonnellate. In questo contesto la produzione di palma, purché sostenibile, avrà un ruolo strategico, visto che garantisce una resa all’ettaro di 4-8 volte maggiore».

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