Effetto pandemia sulla crescita del debito pubblico, quali ricette per farvi fronte
Prima di tutto occorrerà recuperare le “quote” di ricchezza perse a causa della pandemia e tornare quanto meno ai livelli (peraltro non esaltanti) pre-Covid. Poi andrà impostato un credibile percorso di sostegno al Pil e di conseguente riduzione del debito, quando la politica monetaria della Bce tornerà ad attestarsi su un profilo di “normalità”
di Dino Pesole
4' di lettura
Il nuovo record raggiunto dal debito pubblico in Italia (pari a fine settembre a 2.582,6 miliardi, in aumento di 3,8 miliardi rispetto al mese precedente) non sorprende. I dati diffusi dalla Banca d'Italia confermano un andamento già fotografato dalle ultime stime messe a punto dal Governo, che vedono il totale del debito proiettarsi nell'anno in corso verso il tetto del 158% del Pil, mentre nel 2021 si dovrebbe registrare una prima riduzione al 155,8%, nel 2022 al 153,4% e nel 2023 al 148,6%. Cifre imponenti. Rispetto al 2019 (134,6%), nell'anno che si avvia a concludersi si registrerà dunque un incremento di circa 23 punti percentuali.
È la conseguenza diretta e inevitabile dell'impatto della pandemia sull'economia, che da aprile in poi ha comportato il ricorso al maggior deficit per oltre 100 miliardi: finanziamenti diretti al sostegno delle attività produttive colpite dai provvedimenti restrittivi decisi durante il lockdown, cui si sono aggiunti gli oltre 8 miliardi dei due “decreti ristori” e che vedranno ulteriormente incrementare gli stanziamenti di emergenza da utilizzare nel 2021 per ulteriori 20 miliardi. Per questo sarà necessario un nuovo scostamento di bilancio (il quinto dall'inizio della pandemia) che il Governo si accinge a chiedere al Parlamento. Secondo la procedura prevista dalla cosiddetta “legge rinforzata” del 2012, attuativa della riforma costituzionale che ha introdotto il principio dell'equilibrio di bilancio, sarà necessaria la maggioranza assoluta nei due rami del Parlamento.
Con l’incremento del fabbisogno il debito non può che crescere
La tendenza in atto al momento pare scontata. L'aumento del fabbisogno va a incidere sul debito, che non può che crescere in termini assoluti. Nell'indicatore-chiave, che fotografa il rapporto tra debito e Pil, un semplice calcolo aritmetico porta a questa conclusione: se il “denominatore” (il Pil) decresce, il “numeratore” non può che subire un incremento. E quest'anno, l'economia italiana accuserà una contrazione della crescita stimata al momento in un range tra il 9 e il 10,5%. Già in maggio, peraltro, il debito pubblico aveva superato la soglia dei 2.500 miliardi. E diverse incognite si addensano per il 2021. A causa della nuova, più che probabile contrazione della crescita attesa per l'ultimo trimestre dell'anno per effetto della nuova impennata dei contagi (dopo il robusto rimbalzo del 16,1% del terzo trimestre), difficilmente si potrà conseguire nel 2021 un tasso di crescita superiore all'1,8-2%, contro il 6% previsto dalla Nota di aggiornamento del Def di settembre. Il deficit, che già scivolerà all'8% in seguito al nuovo scostamento di bilancio, è destinato a crescere ulteriormente, al pari del debito. Si potrà certamente far conto sul congelamento dei vincoli del Patto di stabilità anche per l'anno prossimo, ma in ogni caso andrà predisposto per tempo un graduale piano di rientro, per non compromettere la ripresa e garantire la piena sostenibilità dell'intero quadro di finanza pubblica.
Come farvi fronte?
La vita media residua del debito è rimasta sostanzialmente stabile, risultando pari a 7,2 anni. Da questo punto di vista, prosegue la tendenza in atto ormai da anni ad allungare il più possibile la cosiddetta “duration”, vale a dire la vita media del debito. Per avviare l'indispensabile percorso di rientro non esistono del resto ricette miracolistiche. Certamente risulta prioritario (e da questo punto di vista l'ombrello della Bce è decisivo) continuare a finanziare il debito a tassi contenuti. Ma occorre al tempo stesso un mix di fattori, che devono poter interagire: dal ritorno a tassi di crescita pari ad almeno il 2-3% annui al consolidarsi di un avanzo primario (il saldo di bilancio al netto della spesa per interessi) del 2-3% del Pil. Un'inflazione più sostenuta rispetto agli attuali livelli potrebbe venire in soccorso, ma la strada maestra resta quella di utilizzare tutte le energie disponibili per il sostegno della crescita, attraverso la combinazione di incisive e credibili riforme strutturali e di investimenti pubblici e privati, cui attribuire il compito di accrescere la produttività dell'intera economia nazionale. Il pieno utilizzo delle risorse del Recovery Fund europeo (i 209 miliardi assegnati al nostro paese) diviene da questo punto di vista la precondizione assoluta per avviare l'economia verso un sentiero di crescita stabile. Il che – stando alle ultime stime della Commissione europea – difficilmente potrà avvenire prima del 2022-2023. Prima di tutto occorrerà recuperare le “quote” di ricchezza perse a causa della pandemia, e tornare quanto meno ai livelli (peraltro non esaltanti) pre-Covid. Poi andrà impostato un credibile percorso di sostegno al Pil e di conseguente riduzione del debito, quando la politica monetaria della Bce tornerà ad attestarsi su un profilo di “normalità”.
Il finanziamento del debito
Per ora, e probabilmente ancora per diverso tempo, l'”ombrello” della Bce, con il suo piano di acquisto dei bond sovrani e con l'intero strumentario tecnico di cui dispone, garantisce a pieno il finanziamento del debito a tassi contenuti, addirittura negativi, con i Btp a dieci anni che registrano un tasso nei dintorni dello 0,7%. Lo spread, attorno ai 115 punti base, il più basso da molti mesi, lo dimostra con assoluta evidenza. È al tempo stesso del tutto evidente che bisognerà attrezzarsi fin d'ora ad affrontare la fase successiva, vale a dire il ritorno alla normalità quando il virus sarà sconfitto. Non vanno commessi errori, la politica economica va impostata su un'intonazione espansiva (la cosiddetta fiscal stance), ma non per varare piani massicci di spesa pubblica a pioggia. Al contrario, occorre privilegiare la componente decisiva degli investimenti, così da aumentare il potenziale di crescita dell'economia. In sostanza, per mutuare una recente espressione di Mario Draghi, va creato “debito buono”, che libera risorse per ricerca, innovazione, formazione, investimenti materiali e immateriali. Il risultato, nel medio/lungo periodo, in termini di maggiore spinta alla crescita, sarà a quel punto il primo, fondamentale ingrediente per accrescere la sostenibilità del debito pubblico.
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