Effetto spread sulle banche italiane. Recuperati 9 miliardi da Ferragosto
La caduta dello spread, sceso sotto i 150 punti base dopo aver superato i 220 a metà agosto, ha avuto un immediato effetto sui titoli delle banche italiane quotate: in due settimane hanno guadagnato il 12% contro il +6% del settore europeo
di Vito Lops
3' di lettura
Uno dei punti deboli delle banche italiane è la forte connessione con i BTp. In bilancio gli istituti di credito nostrani detengono un controvalore di titoli di Stato vicino ai 400 miliardi di euro. Quando le cose si mettono male - ovvero gli investitori vendono i BTp facendone scendere il prezzo e salire lo spread con il Bund - i titoli in Borsa ne risentono in tempo reale dato che i valori azionari vengono “aggiornati” dalla intercorsa minusvalenza in portafoglio. Ma vale anche l’altro lato della medaglia: quando torna l’appetito verso i bond italiani i prezzi dei BTp salgono (mentre i rendimenti, che si muovono in direzione opposta, scendono) e con essi crescono anche le quotazioni finanziarie dei titoli bancari.
Il tutto poi viene amplificato, nel bene o nel male, dalle aspettative degli investitori. Evocativo in questo senso quanto accaduto a metà agosto quando la crisi politica aperta da Matteo Salvini ha toccato il punto più significativo. In una sola seduta lo spread BTp-Bund è aumentato di 29 punti superando quota 200 ma le vendite dei titoli bancari sono state proporzionalmente molto più forti perché i mercati in quel momento - stando ai calcoli di Equita - già scontavano la possibilità di un balzo dello spread a 300 punti.
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Da allora il quadro è andato via via migliorando. I mercati hanno deciso di puntare sin da subito su un accordo tra il Movimento 5 Stelle e il Pd - cosa che poi si è rivelata azzeccata - con contestuali acquisti sui BTp e sui titoli delle banche italiane.
Dai minimi del 14 agosto a ieri il Ftse Ita Banks - l’indice di settore che calcola l’andamento dei titoli del credito quotati a Piazza Affari - è salito del 12%, doppiando la performance contemporanea del corrispettivo indice europeo (Eurostoxx banks +6%).
In soldoni, la capitalizzazione delle banche italiane è passata da 77,4 miliardi a 86,2 registrando così un aumento di quasi 9 miliardi in poche sedute di contrattazioni. Una boccata d’ossigeno che arriva in un momento molto delicato per il settore.
C’è infatti molta attesa per le misure che la Banca centrale europea annuncerà nel consiglio direttivo del 12 settembre. Gli operatori si attendono un mix di misure espansive: dal lancio di una nuova asta T-Ltros (Targeted long term refinancing operations), che però al momento non verrà utilizzata dalle banche italiane come anticipato dal Sole 24 Ore, all’acquisto di nuovi bond (quantitative easing) fino al taglio del tasso sui depositi. Questa terza misura - scontata oggi dai future sull’Eonia e dagli indici Euribor - in teoria non aiuta le banche. I tassi bassi, quando non negativi, penalizzano infatti l’attività tradizionale delle banche e sono uno dei motivi per cui il settore negli ultimi anni sta soffrendo.
Quando il tasso sui depositi è negativo (dal 2016 è a -0,4% e il 12 settembre con ogni probabilità verrà portato ancora più giù dalla Bce) le banche che depositano presso la Bce riserve in eccesso rispetto a quelle obbligatorie, si trovano a pagare una tassa alla Bce, una sorta di ticket per il parcheggio della extra-liquidità.
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A questo giro però la Bce potrebbe sì peggiorare formalmente il quadro (nel senso di aumentare il costo di questo ticket portando il tasso sui depositi a -0,5% o -0,6%) ma nella sostanza potrebbe attenuarne gli effetti negativi . O addirittura trasformare la mossa in un’operazione positiva per le banche .
Molti operatori si aspettano che l’istituto di Francoforte (fino al 31 ottobre guidato da Mario Draghi e poi da Christine Lagarde) lanci il cosiddetto tiering, ovvero l’applicazione di soglie diverse entro cui applicare il tasso sui depositi. Come anticipato dal Grafinomix del 7 febbraio la Bce potrebbe introdurre più scaglioni sulle riserve in eccesso. Far pagare un tot fino un certo ammontare, oltre il quale invece far pagare il tasso massimo. Introducendo uno scaglione intermedio, ad esempio dello 0,2%, è come se la Bce praticasse uno sconto su una parte delle enormi riserve in eccesso oggi parcheggiate.
Un metodo già applicato da altre banche centrali, come quella giapponese e svizzera. Dato che in questo momento l'eccesso di riserve depositato presso la Bce supera i 1.700 miliardi di euro, l’applicazione di uno scaglione “scontato” potrebbe portare dei benefici per le banche. La gran parte delle riserve in eccesso appartiene a banche tedesche e francesi - che certo sarebbero le prime a beneficiare di questa mossa - ma anche le banche italiane, in misura minore potrebbero trarre dei vantaggi. Se e quanto dipenderà dalle nuove regole che saranno svelate tra pochi giorni dalla Bce.
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