Efuels e biofuels, le pericolose illusioni dell’automotive europeo
Al Salone Internazionale dell’Automobile di Monaco di Baviera, il mese scorso, due cose più di altre hanno colpito l’attenzione di alcuni osservatori: il consistente numero di nuovi (ed eleganti) modelli elettrici di marchi cinesi; e il ruolo appannato dei dirigenti europei del settore auto, che non avevano molte novità da offrire se non parlare di carburanti sintetici
di Andrea Boraschi*
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Al Salone Internazionale dell’Automobile di Monaco di Baviera, il mese scorso, due cose più di altre hanno colpito l’attenzione di alcuni osservatori: il consistente numero di nuovi (ed eleganti) modelli elettrici di marchi cinesi; e il ruolo appannato dei dirigenti europei del settore auto, che non avevano molte novità da offrire se non parlare di carburanti sintetici.
Il rischio che le case automobilistiche europee perdano terreno sull’auto elettrica (BEV) nei confronti dei rivali di Pechino è più che reale. Il mercato interno cinese, nel quale la produzione made in UE non penetra efficacemente, ha subito quest’anno una contrazione che stimola ulteriormente l’export, cresciuto lo scorso giugno del 56% su base annua e ancora del 63% nel mese di luglio. La Cina è diventata il principale esportatore di auto a livello globale. Le vendite di BEV prodotti in Cina, compresi quelli di Tesla e del marchio Dacia di Renault, stanno aumentando anche in Europa; e il segreto non sta in pratiche commerciali sleali o in standard ambientali poco rigorosi. L’industria cinese ha batterie migliori, software migliori e sistemi di equipaggiamento avanzati, che gli automobilisti apprezzano.
Negli anni in cui la Cina ha costruito il suo primato industriale le case automobilistiche europee hanno speso il loro tempo a propagandare il “diesel pulito”, una bugia smascherata con il dieselgate; poi a promuovere l’ibrido plug-in, semplicemente un elettrico fake al quale già numerosi paesi hanno tolto ogni sussidio. Ora sembra sia la volta degli efuels, prodotti combinando l’idrogeno con il carbonio. Davvero qualcuno è convinto che salveranno i motori a combustione dall’obsolescenza?
La benzina e il diesel sintetici hanno una composizione simile alle loro alternative fossili, e come quelle vengono bruciati in un motore endotermico. Hanno anche emissioni assimilabili, sia in termini di gas serra che di inquinanti atmosferici locali. Mentre per questi ultimi non sembra esservi soluzione, le emissioni climalteranti possono teoricamente essere compensate nella fase di produzione, se il carbonio utilizzato viene sottratto dall’atmosfera e l’idrogeno prodotto con fonti rinnovabili. Per questo motivo nella normativa europea si sta prevedendo la possibilità di immatricolare, anche dopo il 2035, veicoli che impieghino esclusivamente carburanti “neutri per il clima”.
La Commissione ha giustamente suggerito come questo criterio di “neutralità” debba essere massimizzato; quindi che la compensazione delle emissioni di gas serra, nella fase di produzione dei carburanti sintetici, debba essere non meno del 100%. Ironia della sorte, dopo aver vantato per anni le prestazioni climatiche degli efuel, ora i loro sostenitori dicono che la completa neutralità non è raggiungibile; e chiedono di attestarsi su una riduzione del 70% delle emissioni di CO2. Seguendo questa strada si consentirà la circolazione, ancora per decenni, di auto con prestazioni ambientali non migliori delle attuali ibride plug-in.
Su un indebolimento degli standard di emissione è impegnato anche il nostro Paese: se gli efuel che verranno ammessi nella normativa europea non saranno perfettamente climate neutral, allora ci saranno maggiori chance di trovare spazio, nel regolamento UE, anche per i biofuel. Che hanno un’impronta climatica in taluni casi disastrosa, fino a tre volte peggiore dei combustibili fossili; e che nei casi migliori (i cosiddetti “biofuel avanzati”) vengono da biomasse scarsissime e da filiere a fortissimo rischio di frode.
L’Italia, è notizia recente, è l’unico paese europeo ad aver fatto ingresso nella Global Biofuel Alliance; e in questi giorni molto si è discusso di misure protezionistiche che si vorrebbe introdurre per limitare l’avanzata, anche sul nostro mercato, delle BEV cinesi. Stranamente il protezionismo si applica alla tecnologia più pulita disponibile per i trasporti su strada e non alle biomasse “avanzate”, di cui siamo i principali consumatori in Europa e che importiamo fino al 90% da Cina e paesi del SudEst asiatico.
Uscendo dalle strategie politiche dei governi tedesco e italiano, atterrando nel mondo reale, biocarburanti e combustibili sintetici evidenziano significativi problemi di efficienza, con rendimenti complessivi (dal processo di produzione fino alla loro combustione) molto bassi. A parità di chilometraggio, alimentare un’auto a biocarburanti o a e-fuels può implicare un quantitativo di energia fino a cinque volte superiore rispetto a quello richiesto da un veicolo elettrico.
La scarsa disponibilità di questi combustibili, inoltre, ne pregiudica un impiego significativo nella decarbonizzazione dei trasporti su strada. Gli e-fuels, secondo i dati diffusi dai loro stessi produttori, promettono di rappresentare appena lo 0.4% dei carburanti disponibili al distributore al 2030, e il 3% al 2035; sarebbero invece massimamente necessari nella decarbonizzazione del trasporto aereo, come ribadito - sempre nel contesto del Salone di Monaco - dall’AD di Lufhtansa. Intanto l’intera produzione italiana di biofuel avanzati, se impiegata in purezza (non miscelata con idrocarburi fossili, come avviene oggi), potrebbe alimentare oggi appena il 5% del parco circolante nazionale. Con la stessa energia con cui si producono quei carburanti si potrebbe rifornire di elettricità una quota di auto a batteria più che tripla.
L’Europa rischia di perdere altri cinque anni a discutere sulla data limite del 2035 per i motori endotermici, o a negoziare in maniera estenuante sul futuro di tecnologie affatto promettenti da un punto di vista industriale e ben poco utili per la protezione del clima. Nel frattempo Cina e USA procedono spedite sulla strada della mobilità elettrica che - numeri di un anno fa - vale 1.200 miliardi di investimenti su scala globale. Efuel e biofuel sono destinati a rimanere una soluzione di nicchia nel trasporto su strada; meriterebbero un investimento politico e finanziario corrispondente al loro peso industriale, che è residuale.
L’Europa dovrebbe spendersi per realizzare fabbriche di batterie, garantire forniture di minerali critici onshore e per attuare politiche commerciali e industriali lungimiranti. In gioco c’è il clima, l’industria dell’automotive europea, milioni di posti di lavoro; e la salute pubblica, su cui ancora pesa un inquinamento atmosferico insostenibile. Non è forse abbastanza?
*Direttore dell’ufficio italiano di Transport & Environment
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