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Eleganza e versatilità, così la sartoria napoletana conquista i giovani

Le nuove generazioni amano abiti personalizzati e insieme accessibili, senza rinunciare alla qualità: il racconto di tre aziende nate e che stanno crescendo sotto il Vesuvio

di Chiara Beghelli, Marta Casadei

Un look Luigi Borrelli Napoli 1957, azienda oggi guidata dalla quarta generazione della famiglia

3' di lettura

capi sartoriali realizzati spesso a mano, impiegando tessuti pregiati e made in Italy. Uno stile contemporaneo, che cavalca un rinnovato interesse per i capi formali e ben fatti. Infine, una proposta di prezzo che, pur rimanendo nella fascia alta del mercato, rimane abbordabile. E quindi attrae una clientela più giovane rispetto agli acquirenti tradizionali della sartoria. È questo l’identikit del made in Napoli: ex piccoli laboratori che oggi crescono in modo più strutturato anche grazie all’export.

Barba Napoli

«Siamo nati come un piccolo laboratorio di 20 persone - conferma Raffaele Barba, amministratore delegato di Barba Napoli - , ma oggi siamo una realtà industriale che ne impiega oltre 100: dalla camicia siamo passati a offrire un total look improntato alla tradizione della sartoria napoletana. Di lusso, ma con un prezzo accessibile: un cappotto di cachemire fatto a mano costa circa 1.500 euro». L’azienda fondata nel 1965 ad Arzano (Na) da Antonio Barba, produce anche la linea donna e punta a chiudere il 2023 eguagliando o superando il fatturato 2019, pari a 15 milioni di euro. Un risultato spinto anche dai mercati esteri: «Per ora assorbono il 45% dei ricavi, con Giappone e Corea, Europa e area ex Urss tra i mercati principali. La campagna vendite in corso sta andando molto bene, con molti buyer da Paesi stranieri tra cui la Russia. Il nostro obiettivo è accrescere la quota export». A spingere le vendite anche un cambio di rotta da parte dei clienti finali che dopo il dominio casualwear nel periodo della pandemia hanno voglia di pezzi più formali: «è tornata la voglia di vestirsi bene, di indossare giacche e camicie», conclude Barba, che raggiunta quota tre flagship store sta pensando ai prossimi due.

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Sembra un paradosso, ma a rendere contemporaneo lo stile sartoriale napoletano (che affonda le radici nel XIV secolo, quando nella chiesa di S. Eligio al Mercato a Napoli nacque la Confraternita dei Sartori) è proprio la sua identità storica: caratteri peculiari come la manica “a camicia”, la “ripresa” che rende fluido l’abito sulla persona, l’aver riformulato le rigidità britanniche con una vestibilità mediterranea, comoda e rilassata, soddisfano perfettamente anche le necessità del frenetico e multiforme stile di vita del XXI secolo.

Luigi Borrelli Napoli 1957

«Fra i nostri clienti ci sono sempre più giovani professionisti, magari appena laureati, che amano l’eleganza e cercano insieme qualcosa che sia personalizzato, su misura, sartoriale», nota Gianluigi Formisano, cfo di Luigi Borrelli Napoli 1957, azienda che fa capo a Boreal 1957, anno in cui è stata fondata dal sarto omonimo. Con una sede alle pendici del vulcano, a San Sebastiano al Vesuvio, oggi è guidata da Luigi Junior e Carola Maria Borrelli, esponenti della quarta generazione della famiglia, che pur mantenendo saldo il valore del “fatto a mano” su abiti e giacche, hanno con successo lanciato un total look con camicie, cravatte, maglieria, jeans e accessori. Con un fatturato di circa 4 milioni, l’export al 90% e concentrato soprattutto in area europea, due negozi a gestione diretta e la presenza in altre 15 boutique in Italia, l’azienda è impegnata anche nel ricambio generazionale dei maestri sarti: «Organizziamo stage e tirocini in collaborazione con il dipartimento di economia, management e istituzioni dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, per formare sia profili per il management sia manodopera specializzata, specificatamente napoletana», sottolinea Formisano.

Ennio Collaro Valente, ceo di Saint Gregory Tailors in Naples

A 15 km di distanza, a Casalnuovo di Napoli, si trova anche la manifattura di Saint Gregory Tailors in Naples, guidata da Ennio Collaro Valente, che nel 2017 ha voluto battezzare il suo progetto quasi filosofico di alta sartoria con il nome di una delle più iconiche di Napoli, San Gregorio Armeno. «Un capo Saint Gregory è indubbiamente distante da qualsiasi tipologia o concetto di produzione industriale - spiega -. Non puntiamo, dunque, all’acquisizione di massa dei clienti, ma preferiamo mantenere numeri contenuti, mirando a un prodotto eccellente e all’acquisizione di clienti esperti e competenti».

Saint Gregory oggi vende soprattutto all’estero, in primis negli Stati Uniti, secondo una rete B2B, e i suoi clienti hanno fra i 30 e i 50 anni, «prediligono uno stile giovane, ma che rispecchia la classica sartoria napoletana». Giovani che sono sempre più presenti anche in sartoria: «Un tempo il mestiere del sarto veniva tramandato attraverso gli occhi e le mani, oggi offriamo la stessa opportunità a tutti i giovani che hanno la passione e la voglia d’imparare. Attraverso dei tirocini affianchiamo i giovani sarti ai più anziani. Grazie a questa possibilità, divulghiamo un arte che è quasi in via d'estinzione. Si investe in persone, non in macchine», conclude Collaro Valente.

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