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Elogio del dilettantismo che dà virtù alla politica

C’è una pagina del Protagora, il grande dialogo platonico di accusa contro i Sofisti, che si vorrebbe scolpita su marmo, studiata in ogni ordine di scuole, presa a sommo criterio della vita pubblica.

di Natalino Irti

(IMAGOECONOMICA)

3' di lettura

C’è una pagina del Protagora, il grande dialogo platonico di accusa contro i Sofisti, che si vorrebbe scolpita su marmo, studiata in ogni ordine di scuole, presa a sommo criterio della vita pubblica.

Non va sciupata con riassunto; e perciò tutta si offre nella traduzione italiana di Francesco Adorno. Parla Socrate intorno a costumi e consuetudini di Atene, e vuol mostrare che la politica non è insegnabile, né trasmissibile da uomo ad uomo: «Ebbene, vedo che, quando ci riuniamo in assemblea, se per la città si tratta di costruire edifici, vengono chiamati in qualità di consiglieri gli architetti, se si tratta di navi i costruttori navali e via di séguito per tutte quelle arti che si ritiene possano essere apprese e insegnate. Se, invece, uno qualsiasi, che non sia considerato un competente in materia, si mette a dar consigli, anche se bello, ricco, nobile, non per questo gli dànno retta, ma si mettono a ridere, e rumoreggiano fino a che costui, che voleva dare consigli, o se ne va spontaneamente, assordito dallo schiamazzo, o, su ordine dei pritani, gli arcieri lo strappano dalla tribuna e lo cacciano via. Così, dunque, si comportano quando si tratta di materia che ritengono oggetto d’arte; quando, invece, si debba deliberare sul modo di condurre gli affari dello stato, indifferentemente si leva a dare il suo consiglio un architetto, un fabbro, un calzolaio, un commerciante, un marinaio, un ricco, un povero, chi è di nobile nascita e chi non lo è, e nessuno muove loro rimproveri come nel caso di prima, perché cercano di dare consigli senza preparazione alcuna e senza avere avuto alcun maestro. Evidentemente ritengono che la virtù politica non sia insegnabile».

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Qui, nella nuda semplicità di antica prosa, c’è, enunciato e risolto, il problema dei rapporti fra tecnici e politici, tra il definito sapere dei “competenti” e l'ariosa libertà dei comuni cittadini. Vi sono opere tecniche, di architettura urbana o di costruzione navale, che esigono la speciale perizia dei competenti; e i pretenziosi ignoranti sono dileggiati e scacciati dall'assemblea. Ma quando si discutono e deliberano affari dello Stato, cioè gli scopi perseguiti dalla città, allora tutti hanno diritto a dare consiglio, e non si distinguono categorie professionali né nobiltà o povertà di nascita. Essi appartengono a tutti, e tutti si riuniscono per deliberare la scelta. Altro è la competenza tecnica, insegnata nelle scuole e imparabile dagli allievi; altro, la decisione politica, che richiede talenti civici, sguardo d'insieme, capacità di prevedere il futuro. Non c’è competenza tecnica sui fini, i quali agitano le menti, e riscaldano gli animi, e sollevano moti di idee e conflitti di passioni; ma soltanto intorno ai mezzi, alle modalità attuative ed esecutive.

Lo spettatore, che a questi temi dedicò un ombroso saggio nel 2014, ragionandovi in termini teorici e dottrinarî, ne vede oggi intorno la prova storica, l'inconfutabile prova delle scelte collettive. Le quali traggono e riservano a sé, a dir così, la competenza delle competenze, la potestà di suprema decisione circa gli affari dello Stato. Questa decisione non è ufficio di specialisti; essa sta oltre le competenze, e la chiamiamo “politica”.

Si coglie qui la profondità di una notazione, tra paradossale e aforistica, di Raymond Aron: «I regimi democratici occidentali sono regimi di esperti sotto la direzione di dilettanti», i quali hanno dalla loro la forza della legittimità. E, una volta che siano definiti gli scopi comuni, avvertono pur bisogno di abili tecno-strutture, e provano a valersene in tempi e modi adatti. La pagina socratica insegna che c'è luogo e necessità della perizia, dello specialismo tecnico e della competenza; e c'è, diverso ed altro, il tempo delle fedi, delle “cause”politiche da cui nasce la direzione della città.

Se i competenti non hanno legittimità a decidere circa gli affari dello Stato, che esigono altre capacità e attitudini (prima tra esse un vasto orizzonte e un agile piegarsi a debolezze e miserie umane), è pur vero che gli scopi deliberati dalla politica non sono perseguibili senza ausilio di strutture funzionali e scelta di mezzi idonei. Ma sempre rimane che i tecnici degli strumenti non hanno potestà di decidere i fini. Il “dilettantismo'” assai spesso nasconde felicità e prontezza di intuizioni, capacità di riconoscere e calcolare le forze in giuoco, rudezza e serietà di carattere. Cioè le virtù della politica.

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