Emergenza Covid «infinita»: quali sono i suoi effetti concreti (e simbolici)
L’effetto principale della proroga riguarda l’organizzazione della macchina amministrativa. Le altre limitazioni sono possibili in virtù di un bilanciamento fra diritti
di Carlo Melzi d'Eril e Giulio Enea Vigevani
4' di lettura
Con un decreto legge del 14 dicembre il Governo ha deciso di prorogare lo stato di emergenza Covid fino al 31 marzo 2021 e così di andare oltre il limite massimo di ventiquattro mesi di durata massima previsto dal codice della protezione civile.
Si tratta di una scelta significativa, certo adottata non a cuor leggero, che certifica ancora una volta l’eccezionalità della situazione che stiamo vivendo. Probabilmente l’esecutivo avrebbe preferito gestire la pandemia fuori dall’emergenza ma la necessità di accelerare le vaccinazioni e la comparsa della ennesima variante hanno indotto a tale opzione.
E su questa iniziativa si è sviluppata una vivace discussione, soprattutto alimentata da chi ha ritenuto per vari motivi illegittima o inopportuna una simile scelta.
L’estensione oltre i due anni
Una prima questione, assai seria, riguarda la possibilità stessa di estendere la durata oltre i due anni. In effetti, la legislazione sulla protezione civile stabilisce che «la durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale non può superare i 12 mesi, ed è prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi». Sul piano formale, una simile disposizione è contenuta in una norma di rango primario che, in base al sistema delle fonti, può essere abrogata o derogata da un’altra norma avente analoga forza di legge, come è appunto il decreto legge approvato in questi giorni. Certo, però, che il termine dei due anni esprime un principio generale secondo cui l’emergenza deve essere circoscritta nel tempo, non può essere infinita.
Dunque, appare opportuno che il Parlamento, chiamato a convertire in legge il decreto governativo, esamini con attenzione le condizioni che giustificano tale proroga e, come ha rilevato Sabino Cassese, soprattutto individui quegli strumenti ordinari che consentano di fronteggiare in modo più strutturato le emergenze che verranno. Un primo segnale in questa direzione vi è nel decreto legge, che prevede che nei tre mesi di proroga il commissario straordinario e la Protezione civile dovranno programmare la gestione dell’emergenza fuori dallo “stato di emergenza”.
La correlazione con le misure anti-contagio
Vi è poi l’obiezione più generale che investe il rapporto tra stato di emergenza e restrizioni che tutti quotidianamente subiamo a causa del protrarsi della pandemia. Qui, ci pare che la discussione in corso sia un po’ sfasata. Infatti, non sussiste una correlazione diretta e necessaria tra proroga dello stato di emergenza e prosecuzione delle misure anti-contagio.
L’effetto principale della proroga riguarda l’organizzazione della macchina amministrativa. Essa consente, infatti, il mantenimento dei poteri conferiti al capo della protezione civile e alla struttura del commissario straordinario Figliuolo, a cui tra l’altro è garantita una propria contabilità separata e regole più snelle per l’acquisto di beni e l’affidamento di appalti. Smantellare tale struttura e organizzare un “passaggio di consegne”, nel corso dello sforzo per garantire la continuità della copertura vaccinale, deve essere sembrato macchinoso e soprattutto rischioso per il buon esito della profilassi.
Per il resto, le altre proroghe che il decreto legge prevede potevano essere disposte anche fuori dallo stato di emergenza.
Alcuni esempi su tutti: le regole che disciplinano la classificazione delle regioni per colore, a seconda dell’impatto che il numero dei contagi ha, tra l’altro, sulla popolazione ospedaliera, sono indipendenti dalla dichiarazione dello stato di emergenza. La prosecuzione dello smart working e dei congedi parentali vanno nella direzione di ampliare spazi di libertà e non di restringerli. Così come, sotto alcuni profili, è per le disposizioni sui fondi per i test rapidi e le tariffe calmierate per i tamponi.
Il bilanciamento fra diritti
Le altre severe limitazioni che tutti quanti noi abbiamo subito, e quelle meno severe che continuiamo a subire, alle libertà a cui siamo giustamente affezionati, non sono state assunte “grazie” all’esistenza di una simile dichiarazione. L’incisione su libertà costituzionalmente tutelate, come ad esempio quella di movimento, è stata ed è possibile in virtù di un bilanciamento fra diritti: per tutelare quello alla salute, messo gravemente in pericolo da una pandemia con esiti a volte letali, possono esserne compressi altri, quali la libera circolazione o la riunione, se ciò è ragionevole per contribuire a fermare il contagio. Le alte corti, italiane ed europee, hanno sancito a livello giurisprudenziale questa impostazione, già ben consolidata presso molti studiosi.
Forse, dunque, il maggiore risultato che la proroga ha ottenuto si riflette sulla psicologia collettiva. La parola “emergenza” ha un forte significato evocativo. Così, chi è refrattario a regole eccezionali si è allarmato, chi è più spaventato dal contagio si è sentito rassicurato. In verità, se si osservano le ripercussioni concrete di questo provvedimento, ci pare che i timori dei primi e il conforto dei secondi siano per così dire fuori misura. Soprattutto perché, con le parole dell’allora presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia, è la Costituzione «con il suo equilibrato complesso di principi, poteri, limiti e garanzie, diritti, doveri e responsabilità a offrire alle Istituzioni e ai cittadini la bussola necessaria a navigare “per l’alto mare aperto” dell’emergenza e del dopo-emergenza», che speriamo arrivi presto non solo dal punto di vista giuridico.
loading...