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Emilia-Romagna, ai capitali esteri l’1% delle imprese: genera il 14% dei ricavi

Il caso Philip Morris, con 1,3 miliardi di investimento a Crespellano (Bologna): da qui si muove lo 0,5% del Pil italiano

di Ilaria Vesentini

Stabilimento Philip Morris a Crespellano (Bologna)

3' di lettura

I gruppi a capitale estero hanno in Emilia-Romagna poco più di 4.200 stabilimenti che equivalgono a circa l’1% di tutte le unità locali di aziende presenti in regione. Un 1% che vale però l’8% degli occupati totali, il 13,7% del fatturato e il 13% del valore aggiunto regionale, con punte che arrivano al 30% in settori ad altissima intensità estera come bevande e tabacco, automotive e altri mezzi di trasporto.

Philip Morris a Crespellano

Parte da questi numeri lo studio “Le imprese estere in Italia: l’Emilia-Romagna”, curato dall’Osservatorio Imprese estere di Confindustria e Luiss, in collaborazione con Istat e Scuola IMT Alti Studi di Lucca, presentato a Crespellano (Bologna), dove la multinazionale del tabacco Philip Morris International ha realizzato sette anni fa il suo più grosso investimento in Italia, il Manufacturing & Technology Bologna.

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Si tratta dell centro pilota mondiale per i prodotti innovativi senza combustione e della più grande fabbrica costruita ex-novo in Italia negli ultimi 25 anni (110mila mq e 1,3 miliardi di euro investiti tra sito e macchinari), che oggi muove lo 0,5% del Pil nazionale, poiché dà lavoro nel Paese a 8mila aziende e a 41mila persone, e genera più export (1,85 miliardi di euro) di quanto esporti l’intera filiera italiana dell’olio di oliva (1,77 miliardi) o dei formaggi stagionati (1,26 miliardi).

La fotografia, su dati 2020, curata dall’Osservatorio Imprese estere, fa il paio con la ricerca che The European House Ambrosetti ha elaborato in occasione del 60° anniversario di Philip Morris Italia (il primo insediamento del colosso americano fu nel 1963 proprio alle porte di Bologna, con Intertaba per la produzione di filtri): la presenza lungo la via Emilia di imprese estere è fondamentale per migliorare tutti gli indicatori, non solo di business ma di sostenibilità, di ricerca e di formazione.

Multinazionali straniere

Le multinazionali straniere hanno una produttività media di 80mila euro, contro i 54mila delle aziende domestiche dell’Emilia-Romagna (il 48% in più), hanno un mark-up di redditività di 4 punti superiore, garantiscono retribuzioni medie di 36.600 euro contro i 23.100 euro delle aziende locali (il 60% in più).

«In Italia le 16mila aziende a controllo estero – aggiunge Barbara Beltrame Giacomello, vicepresidente Confindustria con delega all’Internazionalizzazione – rappresentano il 26,8% della spesa in R&S del Paese, un terzo dell’export italiano e oltre il 50% dell’import. Sono numeri importantissimi».

Un’importanza che la Regione Emilia-Romagna aveva ben chiara quando, nel 2014, varò la prima legge per l’attrattività di capitali, seguita pochi mesi fa dal debutto della prima norma nazionale per attrarre e mantenere sul territorio talenti. È anche grazie alla forte presenza di big esteri che l’export pro capite (19.100 euro) sulla via Emilia è doppio rispetto alla media nazionale e il tasso di R&S è del 2,2% del Pil contro l’1,3% in Italia.

Attrattività sulla via Emilia

«Nel giro di dieci anni siamo diventate una delle regioni più attrattive d’Europa e il merito non è certo del costo del lavoro, che qui è alto, ma della nostra abilità nel fare le cose più difficili», spiega Maurizio Marchesini, vicepresidente Confindustria per le filiere e le medie imprese e alla guida di uno dei più grandi gruppi della packaging valley.

«Philip Morris si è insediata qui perché qui ha trovato le nostre filiere manifatturiere super specializzate e un ecosistema formativo fertile. Le imprese estere diffondono conoscenza, la merce del futuro più preziosa, ma per trattenerle bisogna garantire standard adeguati di qualità della vita, quindi case, scuole, infrastrutture. Su questo abbiamo ancora molta strada da fare», conclude Marchesini.


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