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Emissioni di bond corporate, nel 2023 corsa da 774 miliardi

Da gennaio a settembre collocati in Europa il 20% di bond in più rispetto al 2022

3' di lettura

Dall’ondata di gelo causata dall’incertezza che ha seguito l’invasione russa dell’Ucraina al surriscaldamento determinato dal brusco rialzo dei tassi di interesse. È un clima davvero bizzoso e spesso instabile quello che circonda il mondo delle imprese, eppure il volume delle emissioni di bond da parte delle società europee è nonostante tutto aumentato nei primi nove mesi del 2023, denotando una vivacità forse insospettata nel mercato primario.

I dati complessivi

La conferma arriva dai dati raccolti da Dealogic per Il Sole 24 Ore, che indicano come da gennaio a settembre siano stati collocati nel Vecchio Continente titoli obbligazionari con merito di credito elevato (investment grade) per 774 miliardi di euro: un valore che supera del 20% circa quanto registrato nello stesso periodo di un 2022 dalle condizioni oggettivamente molto difficili e resta in linea con gli anni precedenti.

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Non si concluderà probabilmente con cifre record il 2023, ma il risultato appare tutt’altro che da disprezzare anche perché ottenuto con il vento contrario dei tassi e in un contesto di perdurante rallentamento delle operazioni di finanza straordinaria condotte dalle società. «Si è trattato essenzialmente di attività di rifinanziamento, con poche nuove emissioni dato il basso livello di fusioni e acquisizioni», osserva Franck Dixmier, responsabile globale degli investimenti nel reddito fisso di Allianz Global Investors, sottolineando anche il fatto che in molti casi si sia preferito attendere tempi migliori anziché rinnovare in anticipo il debito in scadenza negli anni successivi come si era provveduto invece a fare in modo previdente negli anni caratterizzati da costi ridotti o addirittura negativi.

«I tassi d’interesse elevati e i costi delle cedole relativamente punitivi rispetto al precedente periodo - conferma la stessa Dealogic - hanno reso più interessante per gli emittenti astenersi da rifinanziamenti a breve termine». Ed è anche interessante notare come soprattutto in Europa il fatto che il cosiddetto «muro delle scadenze» sia relativamente diluito nel medio termine abbia contribuito a limitare l’urgenza di rinnovare il debito da parte di molte società.

La prudenza degli high yield

La crescita ha coinvolto anche gli emittenti con merito di credito inferiore, quegli high yield che hanno visto crescere del 58% anno su anno l’ammontare di emissioni a superare i 60 miliardi. Il confronto con il 2022, anno in cui per le società più piccole e indebitate il mercato obbligazionario è rimasto praticamente chiuso da marzo a dicembre, è per la verità poco significativo e i valori dei primi nove mesi 2023 restano in fondo di gran lunga inferiori alla media registrata nel decennio precedente che sfiorava i 100 miliardi.

Il segnale non sembra però destare per il momento preoccupazioni fra gli addetti ai lavori: «Non si tratta tanto di una mancanza di interesse degli investitori - rileva Dixmier - quanto di una riluttanza da parte di alcuni emittenti a pagare i tassi di interesse di mercato». Non si sono quindi osservate particolari difficoltà per la maggior parte degli emittenti high yield che hanno voluto presentarsi sul mercato dall’inizio dell’anno, piuttosto una volontà di attendere un rallentamento della corsa dei tassi.

Il mercato italiano

La tendenza per l’Italia ha ricalcato a grandi linee ciò che si è sperimentato nel resto d’Europa, anche se sono state le banche a dimostrare in genere un maggior dinamismo. I dati che comprendono le istituzioni finanziare denotano infatti un incremento di oltre l’80% rispetto ai primi nove mesi del 2022 con 47 miliardi emessi che lasciano il mercato nazionale in piena corsa per rinverdire gli anni migliori. La spinta in questo caso è arrivata soprattutto dalle big, Intesa Sanpaolo in testa, che sono riuscite a portare a termine singole operazioni di ammontare medio più elevato rispetto al recente passato.

Escluse le banche il panorama è risultato decisamente meno movimentato, con le società investment grade (non moltissime in Italia) probabilmente condizionate anche in questo caso dalla necessità di attendere condizioni migliori, almeno quelle che non avevano bisogno impellente di finanziarsi. I volumi sono risultati addirittura in discesa, se paragonati anche al 2022 (-9% a 18,5 miliardi) e le principali operazioni sono state condotte da Eni ed Enel.

Per gli emittenti con merito di credito inferiore la ripresa era forse inevitabile dopo il blocco parziale dello scorso anno e non si è fatta attendere: con 12,4 miliardi di euro i collocamenti high yield nel nostro Paese rappresentano il 20% di quelli complessivi su scala continentale, ma si mantengono pur sempre su un livello inferiore rispetto alla media del decennio precedente caratterizzato da tassi minimi. Capofila Lottomatica, che con un collocamento da 1,1 miliardi in due tranche ha portato a casa a maggio una delle principali operazioni su scala europea, seguita da Tim. Segnali incoraggianti, in ogni caso, in attesa della frenata forse inevitabile che arriverà in caso di recessione economica.

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