Lavoro: energia, edilizia e mobilità tra le aree in accelerazione
Intervista a Cetti Galante, amministratore delegato di Intoo: «È ora di uscire dal dibattito sul blocco dei licenziamenti e di favorire il passaggio delle persone dai settori in crisi a quelli più promettenti»
di Valentina Melis
2' di lettura
«È ora di uscire dal dibattito sul blocco dei licenziamenti. È tempo di rimettersi in movimento, di mappare le competenze dei lavoratori e le esigenze dei territori, per favorire il passaggio delle persone dai settori in crisi a quelli che stanno avendo una forte accelerazione, e ce ne sono. Ma bisogna farlo adesso, senza perdere altro tempo».
È l’appello che arriva da Cetti Galante, amministratore delegato di Intoo, società di Gi Group che si occupa di servizi di outplacement, sviluppo e transizione di carriera, con 14 sedi in Italia, presente anche in Gran Bretagna e Stati uniti.
Il blocco dei licenziamenti ha arginato l’impatto della pandemia sull’occupazione. Dal vertice di una società di outplacement, qual è la visione che avete dei prossimi mesi?
Ci sono settori in crisi profondissima, che rischiano di restare in una situazione difficile ancora a lungo. Ma ci sono anche settori in crescita, e che avranno bisogno di personale nei prossimi anni. Da lì bisogna ripartire: penso ad esempio a tutte le attività legate all’energia pulita, all’edilizia sostenibile, alla mobilità elettrica, allo sviluppo del web e della comunicazione digitale. Penso al grande fabbisogno occupazionale che avranno i settori della salute, della medicina, della chimica e della farmaceutica, ai servizi per gli anziani, alle telecomunicazioni, all’e-commerce, a delivery e logistica. E ancora, cybersecurity, produzione di robot, droni, Gps, batterie, microprocessori, servizi legati alla connessione e alla banda larga. Però è necessario formare i lavoratori, anche con percorsi “chirurgici” e brevi, per poter favorire il passaggio da un settore all’altro. Pensiamo alla figura professionale di una hostess, a quanto la sua formazione è già ricca, anche nell’ambito delle norme e delle procedure sulla sicurezza. È necessario però supportare i lavoratori in modo intensivo, perché possano affrontare questa fase delicata di transizione.
Che cosa dovrebbe fare lo Stato per favorire questi processi?
Il Fondo nuove competenze, introdotto l’anno scorso, è uno strumento utile per formare i lavoratori, e con risorse ancora disponibili (è stato finanziato con 730 milioni, ndr). Andrebbe semplificato per le piccole imprese e per le aziende con sedi in più Regioni, ma potrebbe avere un ruolo importante in questa fase. Tanto più se lo Stato, oltre a coprire il costo del lavoro per le aziende che fanno partecipare i lavoratori ai corsi, coprisse anche una parte dei costi di formazione. Del resto, tutto ciò che lo Stato dovesse investire nelle politiche attive oggi, lo risparmierebbe in cassa integrazione e indennità di disoccupazione, domani: pensi che sei mesi di Naspi per 150mila lavoratori, a mille euro al mese, costano allo Stato quasi un miliardo di euro.
Il sistema dei centri per l’impiego e delle agenzie per il lavoro andrebbe rilanciato, in quest’ottica. Che cosa si deve fare, secondo lei, in questo ambito?
Sarebbe necessario consentire anche alle agenzie per il lavoro di occuparsi dell’accoglienza dei lavoratori. È necessario poter mappare con precisione le opportunità di lavoro del territorio e, laddove non ci fossero aziende che possono assumere, favorire anche l’autoimpiego. I servizi di outplacement oggi non possono essere acquistati dai singoli individui ma solo dalle aziende: per promuoverne l’utilizzo, sarebbe utile agevolarli dal punto di vista fiscale o finanziarli con i fondi interprofessionali.
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