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Energia eolica, Ørsted crolla in Borsa: svalutazioni fino a 5,3 miliardi di euro

Nuovi segnali di crisi per il settore, a pochi giorni dal tracollo di Siemens Energy: il gigante danese rinuncia a due impianti negli Usa, perché i costi sono saliti troppo e non si riesce più a rientrare nell’investimento

di Sissi Bellomo

3' di lettura

Non c’è pace nel settore dell’energia eolica, precipitato in una crisi che sembra aggravarsi ogni giorno di più. A pochi giorni dal tracollo di Siemens Energy alla Borsa di Francoforte, sotto i riflettori è finita Ørsted. La multinazionale svedese, un gigante globale nello sviluppo di parchi offshore, è arrivata a perdere oltre il 20% sul listino di Copenhagen dopo l’annuncio di pesanti svalutazioni e accantonamenti: una botta che potrebbe costarle fino 5,3 miliardi di euro.

Il portafoglio progetti aveva già subito una prima svalutazione ad agosto: ora la rettifica sale da 16 a 28,4 miliardi di corone (circa 3,8 miliardi di euro) a causa della definitiva rinuncia a costruire due grandi impianti per generare elettricità dal vento negli Stati Uniti, Ocean Wind 1 e 2, al largo del New Jersey. La società prevede di dover accantonare 8-11 miliardi di corone nel quarto trimestre per le relative penali e altri oneri (il terzo si è chiuso con un “rosso” di 3 miliardi).

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Per un terzo parco eolico nella stessa area degli Usa – Sunrise Wind, in fase più avanzata, ma con una tabella di marcia che accusa un «ritardo pluriennale» per la carenza di navi specializzate – Ørsted spera di limitarsi a premere il tasto “pausa”: riprenderà i lavori se riuscirà ad ottenere una remunerazione più generosa, riproponendo la candidatura in nuove gare nel futuro.

La decisione di cancellare i progetti, ha spiegato il ceo Mads Nipper, è stata presa a causa di «significativi sviluppi avversi», sia sul fronte delle catene di fornitura che in relazione ai tassi d’interesse. «Ora valuteremo il modo migliore per preservare il valore».

L’aumento del costo del denaro colpisce in modo particolare i progetti nelle energie pulite, come i parchi eolici, che sono caratterizzati da un’alta intensità di capitale, come evidenziato da un’inchiesta del Sole 24 Ore. Sugli impianti in costruzione continuano inoltre a pesare difficoltà logistiche, carenze e rincari di materiali, componenti e manodopera: problemi insorti nel post pandemia, che tuttora non si riesce a superare, anche a causa della straordinaria accelerazione della domanda.

Ovunque nel mondo c’è un boom di progetti per la decarbonizzazione, ma molti faticano a tradursi in realtà. E quelli già in costruzione in molti casi non riescono più a rientrare nei costi.

Circa un mese fa Ørsted, insieme a Bp e ad Equinor, aveva chiesto al regolatore di New York – la città delle mille luci, oggi decisa ad accenderle in modo più “green” – di rivedere le tariffe riconosciute nel passato a progetti per parchi eolici oggi divenuti troppo onerosi, ma la risposta è stata negativa. Nei giorni scorsi hanno effettuato svalutazioni in bilancio anche la compagnia norvegese (circa 300 milioni di dollari) e quella britannica (540 milioni). Per adesso i loro progetti vanno avanti, ma il rischio è che abbiano le ore contate.

Ørsted non è la prima a gettare la spugna. E i problemi non riguardano solo gli Stati Uniti. L’estate scorsa ad esempio aveva fatto scalpore la svedese Vattenfall, che si era “sfilata” da un maxi progetto in Gran Bretagna, il parco eolico offshore di Norfolk Boreas, a causa di un aumento del 40% dei costi rispetto al budget iniziale.

Il settore, che vanta ancora molte eccellenze in Europa, è in difficoltà anche per la concorrenza sempre più agguerrita della Cina. Pechino controlla diversi anelli importanti della filiera: componenti chiave, come gli inverter, o materie prime come le terre rare, che servono nei supermagneti presenti anche nelle pale eoliche.

In più ci sono problemi specifici, come quelli di Siemens Gamesa, uno dei big mondiali, che ha riscontrato gravi difetti di fabbricazione in molte delle sue turbine: i problemi sono così gravi che la controllante Siemens Energy – oltre a temere perdite per 4,5 miliardi di euro – si è vista costretta a chiedere garanzie statali per 16 miliardi al Governo tedesco, necessarie per sostenere l’operatività anche in altre divisioni del gruppo.

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