ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùParla il cfo Francesco Gattei

«Eni, niente extra profitti sul gas: il tetto sul prezzo sia europeo»

Il cfo di Eni: «È necessaria una base imponibile chiara e trasparente. Utili non in Italia, dove ci sono perdite ricorrenti». Il gruppo ridetermina in 1,4 miliardi l’impatto della tassa

di Celestina Dominelli

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4' di lettura

«U n’addizionale sul profitto è ragionevole, ma è necessaria una base imponibile trasparente, chiara e facilmente rappresentabile verso l’esterno». Eni rompe il silenzio sugli extra profitti e lo fa, con il cfo Francesco Gattei, nel giorno in cui il gruppo ha aggiornato l’ammontare del prelievo deciso dal governo Draghi. Non più 550 milioni, ma 1,4 miliardi.

Perché questo riconteggio?

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Eni ha pagato l’acconto del 40% il 30 giugno in linea con il dettato della legge e a valle della circolare del 23 giugno dell’Agenzia delle Entrate che prevedeva come esclusione, rispetto al saldo Iva, le operazioni attive extra-territoriali. L’11 luglio, però, con una nuova circolare, l’Agenzia ha precisato che l’esclusione poteva essere effettuata solo in presenza di una perfetta corrispondenza con operazioni passive fuori campo Iva. A quel punto abbiamo fatto un interpello per capire come applicare questo criterio a transazioni macro non puntuali, ma la risposta restrittiva lascia al contribuente l’onere di dimostrare l’afferenza tra attivo e passivo in modo analitico.

Da qui l’integrazione fatta ieri sull’acconto: 340 milioni in più dei 220 milioni versati. Avete pagato anche una penale?

Assolutamente no, perché abbiamo operato secondo i dettami di legge. E la circolare dell’11 luglio consentiva di integrare il dovuto entro il 31 agosto senza sanzioni.

Gli 836 milioni frutti del ricalcolo, quindi, cosa sono?

Sono figli di operazioni Iva in cui non possiamo collegare analiticamente agli attivi i passivi derivanti dall’acquisto di gas. E non sono necessariamente operazioni fatte in Italia.

Molte aziende hanno criticato questo balzello. Lei che ne pensa?

Forse dovrebbe intercettare meglio i profitti e includere gli effetti delle operazioni di copertura con derivati tipiche di chi vende gas. Inoltre si confrontano due periodi diversi come dinamica economica. C’era di mezzo il lockdown e il grosso della seconda ondata del Covid.

Il semestre si è chiuso con un boom di utili (+700%). Come spiega quel balzo allora?

Gran parte di quel risultato Eni l’ha fatto vendendo all’estero petrolio e gas come produttore. Poi, certo, vendiamo gas anche in Italia e in Europa, ma la fetta maggiore di quel gas l’acquistiamo a prezzi indicizzati in gran parte al Ttf. Non abbiamo contratti magici a prezzi fissi e bassi siglati anni fa.

Ci sta dicendo che i vostri contratti sono in perdita?

Sto dicendo che i contratti gas di fornitura prevedono clausole di rinegoziazione periodica che hanno trasformato la tradizionale formula oil linked (con prezzi agganciati a quello del petrolio, ndr), legandola agli hub europei. Se non fosse stato così, avremo perso miliardi di euro. E questa revisione ha riguardato anche le diverse rinegoziazioni con Gazprom con cui abbiamo rivisto sia la dimensione della fornitura sia le formule dei prezzi.

Quindi l’Eni non fa extra profitti sul gas?

No, basta guardare alla nostra ultima semestrale: la divisione Ggp (Global Gas & Lng Portfolio) è a breakeven dopo aver beneficiato nel primo trimestre di una rinegoziazione contrattuale. La raffinazione, invece, è andata molto bene sfruttando non solo il miglioramento dei margini di raffinazione ma anche le efficienze che abbiamo fatto e le svalutazioni dello scorso anno.

Ha detto che il grosso degli utili è sull’estero. E in Italia?

Dal 2014 al 2021, a livello operativo, Eni ha perso in Italia 11 miliardi perché la raffinazione era in perdita, come la chimica, la produzione gas e la società di bonifica. Poi, se aggiungiamo anche gli oneri finanziari e le svalutazioni, le perdite salgono a 20 miliardi. E, nel primo semestre, Eni Italia spa ha perso a livello operativo quasi 600 milioni. Il sistema Italia, dunque, non ha generato finora extra profitti ma perdite ricorrenti.

Gli attuali livelli di prezzo sono tutta colpa della Russia?

La guerra è una variabile ma non è l’unica causa. Sul gas, la situazione era esplosa già prima perché la volatilità indotta dalle policy europee, che è enorme, ha finito per togliere all’industria dell’oil&gas la propensione al rischio ma anche la voglia di investire per il lungo termine. Così l’offerta si è ridotta proprio mentre il rimbalzo post covid rilanciava la domanda. E questo fa sì che in un mercato corto un qualsiasi evento o un grande produttore possono condizionare l’equilibrio dei flussi.

Qualcuno sostiene che il prezzo al Ttf è figlio anche della speculazione. È d’accordo?

Il Ttf è un mercato più regionale, ma non è illiquido. Non è un mercato senza scambi in cui basta l’intervento di 2-3 operatori per amplificare il prezzo. Ci sono quindi variabili esterne che ne condizionano l’andamento, prima tra tutte le attuali dinamiche che amplificano la tipica volatilità guidata dai fondamentali con elementi di emotività e arbitrarietà tipiche dei mercati.

Che effetto ha su Eni questa altalena dei prezzi?

Noi stiamo gestendo una dimensione di rischio enorme che è la stessa con cui si misura la tedesca Uniper, salvata dallo Stato con 19 miliardi di euro. La complessità dell’attuale fase è largamente sottostimata nel dibattito pubblico.

Stiamo soppiantando via via il gas russo, ma l’effetto sui prezzi non si vede. Perché?

Siamo in un mercato unificato a livello europeo per cui se il sistema tutto ha dei punti di fragilità - come la forte dipendenza della Germania dalla Russia e la minore capacità di diversificazione mentre noi abbiamo molto gas che arriva da Sud -, la dinamica di quei punti si scarica sul prezzo e il prezzo si replica in tutti gli hub. Per questo motivo, la soluzione del problema deve essere europea ed europeo deve essere il tetto sul gas perché un cap nazionale genererebbe una dinamica di flussi fisici che portano il gas dove il prezzo è più alto.

Dovremo dire addio alla transizione energetica?

Assolutamente no. L’attuale crisi porta con sé un messaggio molto chiaro: la transizione energetica non è semplicemente l’abbattimento delle emissioni del sistema energetico, ma è un abbattimento che deve assicurare un sistema energetico sicuro, quindi diversificato e sostenibile anche economicamente.

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