Eni, piano da 7 miliardi per far crescere l’Italia
di Celestina Dominelli
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Per far capire che la trasformazione di Eni, messa in campo negli ultimi quattro anni e imperniata, da un lato, sulla rifocalizzazione sull’upstream e, dall’altro, sulla ristrutturazione completa degli altri segmenti (gas&power, raffinazione, chimica), è stata tutt’altro che semplice, il ceo del gruppo, Claudio Descalzi, ha sfoderato un paragone efficace. «Abbiamo ottimizzato i costi, concentrando gli investimenti sugli asset che costavano meno, abbiamo introdotto un’innovazione basata sulle competenze e lo abbiamo fatto spostando una “portaerei”». Così Eni è diventata una società «più resistente» in grado di muoversi «in un contesto più complesso» grazie a un cambio di passo che ieri il ceo ha ripercorso davanti alla comunità finanziaria italiana, riunita per l’occasione a Piazza Affari, illustrando il piano strategico 2018-2021 e ribadendo l’impegno nella penisola. «L’Italia è il nostro primo paese a livello di investimenti: 7 miliardi di euro nei prossimi quattro anni, di cui un miliardo per le attività “green”, incluse le spese per la ricerca e lo sviluppo al servizio della decarbonizzazione».
Uno sforzo importante, dunque. Ma l’ad ha approfittato dell’incontro a Palazzo Mezzanotte per sottolineare altresì i risultati raggiunti sia nella sicurezza, con il miglioramento del Trir (Total recordable injury rate, l’indice che misura il numero di incidenti registrati per milioni di ore lavorate), pari a 0,33 nel 2017, in calo del 7% sull’anno prima e ben al di sotto della media di settore (0,95-1), sia nella riduzione delle emissioni dalle attività upstream, scese del 74% dal 2007 al 2017. Senza tralasciare un tassello clou: la R&D (ricerca e sviluppo) per cui Eni ha messo in pista 1,7 miliardi di euro dal 2009 al 2017 e altri 750 milioni nel nuovo piano. E ha quindi passato in rassegna gli elementi chiave che hanno consentito al gruppo di superare lo tsunami provocato dal crollo del prezzo del greggio: dalla dual exploration, la monetizzazione anticipata dei successi esplorativi - che ha garantito, negli ultimi 4 anni, 10,3 miliardi di cassa anticipata - alla revisione del modello integrato di sviluppo «che abbiamo compattato», ha chiarito ancora Descalzi, citando alcuni casi di successo, da Zohr al Mozambico, dal Messico all’Indonesia (dove ieri, peraltro, è stato incassato l’ok governativo al piano di sviluppo di Merakes). Per poi rammentare che il gruppo ha portato a casa una crescita continua della produzione, nonostante il taglio degli investimenti (-40% nell’ultimo quadriennio), che non si è tradotto però, ha aggiunto il ceo, in una riduzione del personale: «Noi non abbiamo licenziato nessuno».
L’ad di Eni ha quindi rimesso in fila le tappe fondamentali della trasformazione per poi soffermarsi sull’impegno “green” del gruppo: dalla raffinazione, con i progetti su Venezia e Gela che, insieme, produrranno un milione di tonnellate l’anno di biodiesel entro il 2021, a Versalis, tornata alla crescita le perdite passate e orientata anch’essa su una serie di prodotti legati alla chimica verde. Fino alla produzione di energia rinnovabile nei terreni bonificati da Eni, sotto il cappello della direzione ad hoc “New energy solutions”, con 25 progetti identificati solo in Italia, il 90% dei quali al Sud, per arrivare, a fine piano, a un gigawatt di capacità installata entro il 2021, includendo anche lo sforzo oltreconfine (dall’Egitto al Pakistan, passando per la Tunisia), e fino a 5 GW al 2025 con investimenti per 1,2 miliardi nel quadriennio.
Poi, rispondendo alle domande di analisti e stampa, Descalzi ha rimarcato che la quota ancora detenuta in Saipem non sarà ceduta. «Abbiamo deconsolidato perché non è il nostro core business, ma al momento la sosteniamo e non pensiamo a vendere». Né Eni è intenzionata a partecipare all’asta per gli asset italiani di Terra Firma. «Non abbiamo per il momento in testa alcun tipo di acquisizione - ha precisato Descalzi -. Se ce ne fossero sarebbero molto opportunistiche, relativamente ad asset che possono essere messi a fattor comune per creare sinergie». Quanto al possibile impatto collegato alle nuove sanzioni contro la Russia, Descalzi ha rassicurato. «Non siamo assolutamente andati via, stiamo lavorando con Rosneft, abbiamo fatto un primo pozzo, poi ci saranno quelli nella parte nord. Dovremo valutare, ci sono state altre sanzioni, dovremo vedere le modalità».
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