Ennio Morricone e i suoi fratelli: le 10 migliori colonne sonore Spaghetti Western
«Giù la testa» ma anche «Il mio nome è nessuno», Bacalov e Ortolani: ecco il nostro tributo ai maestri che musicarono questi capolavori mainstream
di Francesco Prisco
4' di lettura
Dici Ennio Morricone e pensi Spaghetti Western, genere cui il Maestro morto all’età di 91 anni ha inscindibilmente legato il proprio nome, in particolare grazie al sodalizio con Sergio Leone. Ma quali sono le colonne sonore più famose del filone che tra gli anni Sessanta e Settanta rinnovò nel mondo il mito di Cinecittà? In dieci titoli, ecco il nostro particolare tributo ai maestri che musicarono questi capolavori mainstream.
Giù la testa
Complicatissimo giudicare quale sia l’opera migliore che il Maestro (Morricone) abbia regalato al Maestro (Sergio Leone). Alla fine la nostra scelta (sofferta) cade su Giù la testa, opera ambiziosa sia per il regista che per il compositore. C’è dentro tutta l’arte di Morricone: c’è l'epos, un «fischio» che non ti si stacca più dalla testa, un commovente tema lirico che, improvvisamente, si appoggia su uno scanzonato accompagnamento pianistico alla Burt Bacharach. Il film è del 1971, periodo in cui il genere Spaghetti Western era «mauturo». Morricone rispose alla chiamata dell’amico con una prova di altrettanta maturità. Rinunciando a lavorare nientemeno che ad Arancia Meccanica di Stanley Kubrick.
Il Buono, il Brutto e il Cattivo
Quello de Il Buono, il Brutto, il Cattivo è probabilmente il tema più celebre di Morricone. Una cavalcata per le praterie desolate del selvaggio Ovest (d’Europa) giocata sull’epos. L’intro flautistico lascia per un breve attimo spazio al fischio, prima che arrivi a scompaginare i giochi una chitarra imbottita di tremolo. Memorabile l’inseguimento trombettistico che sancisce il culmine della cavalcata. La cosiddetta «trilogia del dollaro» non poteva certo chiudersi meglio. Musicalmente parlando e non solo.
Il mio nome è Nessuno
Anche quando si prendeva una «vacanza» dai film diretti da Leone, Morricone riusciva grandissimo. Ne è la prova il tema de Il mio nome è Nessuno, film del ’73 che Leone produce, Tonino Valerii dirige e due icone generazionali del genere interpretano: da un lato l’astro nascente Terence Hill, dall’altro il padre nobile Henry Fonda. Come in tutti i più grandi western della storia, l’ambientazione è un pretesto per raccontare la condizione umana e, nel caso specifico, la fine di un'epoca. Il tocco è leggero, nella regia di Valerii come nella musica di Morricone, malinconica ma tutto sommato speranzosa. Da pelle d’oca.
Per un pugno di dollari
La leggenda vuole che l’allora sconosciuto attore americano Clint Eastwood alla sua prima collaborazione con Leone, appena terminate le riprese, nemmeno aveva idea di cosa avesse interpretato. Prima ancora di vedere il film, si vide recapitare per posta il 45 giri con il celebre tema di Morricone, lo mise sul piatto ed ebbe la sensazione precisa di essere finito in uno dei film più importanti della storia del cinema. L’andeddoto la dice lunga sull’unicum imprescindibile che i film di Leone e le musiche di Morricone costituiscono insieme. Tutto cominciò con quel fischio e quella melodia che, con sottile sapienza, rimandava a Ghost riders in the sky, uno tra i più nobili brani dell’epopea country. Magie che riescono solo ai più grandi.
Lo chiamavano Trinità
Per una volta premiamo la popolarità. Lo chiamavano Trinità di Enzo Barboni è il film che nel 1970 apre alla svolta comica dello Spaghetti Western, con il sangue che lascia il posto ai cazzotti e i vari Clint Eastwood e Franco Nero che cedono la scena al duo composto da Bud Spencer e Terence Hill. Secondo qualche critico sarà l’inizio della fine. Non intendiamo addentrarci in questioni accademiche controverse. Preferiamo fare l’inchino a questa godibilissima canzone country pop che il maestro Micalizzi compone strizzando l’occhio agli stilemi morriconiani. Tra i temi del genere più famosi di sempre.
C’era una volta il West
Nella filmografia di Sergio Leone C’era una volta il West segna indiscutibilmente un cambio di marcia: quella del ’68 è la prima mega-produzione che viene affidata al cineasta romano, dopo tanta gavetta low budget nella quale aveva ottenuto il massimo risultato con il minimo sforzo. I soldi ce li mette la major americana Paramount e Leone, per la prima volta, può affidarsi un cast stellare che unisce divi americani e attori che avevano contribuito a fare grande la cinematografia italiana. Morricone esegue il compito che gli viene affidato puntando su un mix di epos e malinconia, due frecce che in mano a lui sono sempre andate dritte al bersaglio.
Django
Ecco a voi lo «spartito» su cui Tarantino, autore del remake Django Unchained (2012), ha a lungo studiato. Il film di Sergio Corbucci del '66, certo, ma anche l’omonima canzone che l’immigrato argentino Luis Bacalov - altro abilissimo «artigiano» della Hollywood sul Tevere destinato a diventare premio Oscar qualche decennio più tardi – cuce addosso all’insopprimibile pistolero interpretato da Franco Nero. Una curiosità: la voce è di Rocky Roberts, distante anni luce da riempipista come Stasera mi butto.
Vamos a matar, companeros
Di nuovo Corbucci, di nuovo Morricone. Il film è ambientato nel Messico delle rivoluzioni, espediente frequentato da parecchi registi western che provavano a raccontare un po’ della controversa attualità politica italiana attraverso un turbolento plot storico. Era il 1970 e la pellicola ci mise poco a diventare testo di formazione per tanti «cattivi allievi» della sinistra extraparlamentare. Galeotto fu il «basco» indossato da Tomas Milian alla maniera di Ernesto Guevara. E, a pensarci bene, pure il tema ispanico dell’Ennio nazionale. Perfetto pure per un falò post sessantottino. Il tema morriconiano è in realtà un de profundis gregoriano. «Se questi devono morire ammazzati, allora dobbiamo fargli un funerale», dirà il maestro a Corbucci.
I giorni dell’ira
Altro tema molto caro a Quentin Tarantino - che lo ha riciclato prima nei due capitoli di Kill Bill poi in Django Unchained - quello che fa da spina dorsale a I giorni dell’ira, film del 1967 diretto da Tonino Valerii. La firma sullo spartito è di Riz Ortolani, uno degli specialisti delle colonne sonore degli anni d’oro del cinema italiano. Tanta chitarra elettrica (stiamo pur sempre parlando degli anni Sessanta), una linea interminabile di ottoni che riprende la melodia, un incedere drammatico. Il tappeto perfetto per le scorribande eroiche di Lee Van Cleeff e Giuliano Gemma.
Quien Sabe?
Damiano Damiani nel ’66 si cimenta con il western messicano, Luis Bacalov con la composizione in stile mariachi. Il tema musicale di Quién sabe? è travolgente e dimostra profonda capacità mimetica con l’oggetto della propria composizione da parte dell’autore. E di colui che svolge il ruolo di supervisore sul lavoro dell'autore. Il nome? Ennio Morricone.
loading...